A partire da questa intervista, MockUp vi propone una serie di esclusive interviste ai cantanti italiani nel mondo. Dal musical tedesco all’opera in Australia, un viaggio che inizia con l’intervista fiume a Bruno Grassini che molti appassionati del musical Elisabeth conosceranno per la sua interpretazione di Luigi Lucheni. Buona lettura!
Buongiorno Bruno. Innanzitutto grazie per aver accettato di incontrarci per questo primo appuntamento di Mockup Magazine dedicato alle “voci” italiane all’estero. La tua carriera internazionale si sviluppa tra Austria e Germania nella prima metà degli anni Novanta dopo alcuni anni di formazione musicale in Italia. Com’è nato questo percorso e quali sono, per un artista, le principali differenze tra il mondo del musical in Italia e quello dell’area di lingua tedesca?
Buongiorno a tutti voi e ai lettori di Mockup Magazine! Il piacere è mio e vi ringrazio.
Questa domanda richiede una risposta con diversi capitoli. A monte del mio percorso, a Brescia, sta la mia esperienza di soprano solista quando ero ancora una “voce bianca” e poi l’impatto con la chitarra classica durante il periodo liceale. Così la musica è entrata nella mia vita. Al liceo scoprii le chansons di Jaques Brel, che sono cariche di una teatralità travolgente a me fino allora sconosciuta. Furono per me il ponte tra il canto e la recitazione fusi in un’unica performance. Ho sempre amato il teatro: Dario Fo, Pirandello, Eduardo De Filippo, giusto per nominare tre dei miei “top 10”. Il Jazz, la musica pop, la bellissima musica leggera italiana mantenevano comunque invariato la loro primaria importanza nella mia vita. Il “Big Bang” avvenne quando un amico triestino mi regalò un’incisione del Flauto Magico di Mozart. Volevo assolutamente cantare in quel modo.
Visitavo spesso Vienna per la pratica del tedesco (che studiavo all’Università) e andavo all’Opera, ai concerti Jazz, classici e, finalmente, vidi il mio primo Musical al Theater an der Wien che era “Il Fantasma dell’Opera”. Nel frattempo a Trieste avevo fatto casualmente la conoscenza di una cantante lirica che aveva smesso di cantare attivamente da decenni e che era stata a sua volta allieva della grande Toti dal Monte, quindi la grande scuola del puro Belcanto. Ma volevo qualcosa di diverso dalla Lirica. Su consiglio di un’amica viennese feci l’esame d’ammissione al Conservatorio di Vienna per il corso di Musical e Chanson. Numerosissimi i partecipanti per soli otto posti e il mio nome era l’ottavo sulla lista degli ammessi. Avevo già un piede fuori dalla porta per tornare a casa e poi “boom!”: sentii il mio nome e capii che incominciava un nuovo capitolo della mia vita.
Grazie alla mia conoscenza del tedesco mi si aprivano le porte di un mondo in cui il Musical ha una lunga e forte tradizione e vocalmente mi sono indirizzato dalla lirica al Musical con nuovi insegnanti e nuovi impulsi musicali. Il significato di questa scelta, e quello che comporta dal punto di vista canoro, è troppo tecnico e annoierebbe i lettori.
Questa la tua gavetta, e le differenze fra Musical in Italia e in Germania?
In Italia il Musical soffre di un complesso fondamentale e cioè quello di essere un genere dedicato esclusivamente all’Entertainment, uno “show”, piú che un pezzo di vero teatro in musica che, a differenza dell’Opera e dell’Operetta, si serve di forme musicali più contemporanee e – fino a un certo punto – più “popolari”. Se pensiamo a “Grease”, “Saturday Night Fever”, “Sister Act”, “Sette Spose Per Sette Fratelli”, “Cats” e “Starlight Express” possiamo avere l’impressione che tutto il Musical sia così. Da una parte comprendo la forte pressione economica che grava sui produttori di portare un successo “garantito” sulle scene per evitare rischi economici. Dall’altra credo fermamente che il pubblico venga sottovalutato. So che “Jekyll And Hyde” e anche “Elisabeth” (nelle sue poche apparizioni sulle scene italiane) e altri Musical più “drammatici” sono stati molto apprezzati dal pubblico italiano, ma rimangono a mio avviso la minoranza. Nell’area di lingua tedesca i diversi tipi di Musical vanno a braccetto e si alternano tra loro. La tradizione del Musical d’Oltralpe è forte e il suo pubblico è anche quello che va all’Opera e a Teatro, come a Broadway e nel West-End londinese. Rimane fino ad oggi per me un fatto che, quando in Italia mi si chiede che lavoro faccio, nove volte su dieci vedo volti entusiasti che dicono:
”Ah, Siii! Adoro i Musical! Mi fanno venire voglia di ballare!”. Mi sembra che il Musical in Italia venga percepito come un’appendice del mondo dello spettacolo dedicata all’intrattenimento e che abbia un urgente bisogno di una forte emancipazione e integrazione come genere teatrale globale assolutamente in grado di comunicae al pubblico sia la leggerezza e la comicità, sia la drammaticità del teatro in tutte le sue espressioni.
Le buone traduzioni in italiano erano forse un po’ un problema, ma adesso con traduttori come Franco Travaglio la situazione è definitivamente migliorata.
Una differenza oggettiva è senz’altro la struttura, la gestione delle stagioni teatrali in Italia: gli allestimenti fissi sono rari. Molto piú diffuse sono le compagnie teatrali che girovagano per il paese e vengono ingaggiate dai teatri che le inseriscono nel loro calendario di stagione. Queste produzioni sono limitate scenicamente dalla necessità di essere “montabili” e “smontabili” in breve tempo. Per l’artista questo significa vivere con la propria casa in una valigia per la durata dell’ingaggio e contesti tecnici diversi a seconda dei teatri. Da quello che so in Italia le poche produzioni che rimangono per un grande numero consecutivo di repliche nella stessa città fanno abbastanza fatica e si tratta principalmente di due sole città: Milano e Roma.
In Germania, in Austria e in Svizzera ci sono principalmente tre sistemi: le cosiddette produzioni “ensuite”, cioè fisse in un teatro e in una città a volte anche per degli anni, con una base di otto spettacoli a settimana. Amburgo, Berlino, Monaco, Essen, Düsseldorf, Duisburg, Oberhausen, Colonia, Bochum, Stoccarda e Vienna hanno numerosi teatri di questo tipo. Gli artisti hanno un giorno libero a settimana, sabato e domenica spettacolo doppio, matinée e soirée. Sono le produzioni più opulente dal punto di vista scenico e dei costumi. Per un artista una produzione simile vuol dire un salario fisso per un periodo più lungo, una casa “vera” e non una stanza d’albergo diversa ogni sera, condizioni lavorative piú regolamentate, sale genericamente molto capienti con situazioni tecniche di sound e luce avanzate, affidabili, e di alta qualità che supportano il canto e la recitazione. Un altro sistema è quello dei teatri comunali e statali, anch’essi con condizioni tecniche ottime che forniscono al pubblico un ventaglio più ampio di generi dal balletto al teatro di prosa, all’Opera, all’operetta, al concerto sinfonico fino al Musical. Hanno quindi un calendario di stagione quasi sempre con allestimenti propri in cui i diversi generi si alternano. Poi ci sono le tournée, più o meno opulente, a seconda del produttore e del budget: alcune rimangono un paio di mesi in una città prima di spostarsi verso la prossima e possono permettersi grandi allestimenti. Le tournée di “Elisabeth” che feci in Giappone a Osaka e Tokyo e quella in Germania erano così. Oppure le cosiddette “one-nighters”, ogni sera una città diversa, maggiormente ridotte. Per l’artista queste ultime significano fondamentalmente quattro cose: fare le valige ogni giorno, dosare le proprie forze per garantire la qualità dello spettacolo nonostante i disagi dei lunghi viaggi giornalieri in autobus, avere condizioni di suono e luci diverse ogni sera a seconda del teatro, il che comporta un soundcheck giornaliero un’ora prima di andare al trucco e infine “zero” vita privata. Nel mio caso queste furono le due tournée europee di “Chess”, quella di “La Cage Aux Folles” e di “A Christmas Carol”. Un altro tipo molto piacevole è quello dei festival estivi all’aperto, come mi è successo nei Musical “Tell” nella Svizzera tedesca e “Titanic” nel Canton Ticino. Questo significa per l’artista lavorare in posti bellissimi, e venire pagati là dove altri pagano per fare vacanze. Nella mia carriera finora ho avuto moltissima fortuna e le produzioni “ensuite” prevalgono rispetto alle altre.
Uno dei tuoi ruoli più celebri è quello di Luigi Lucheni in Elisabeth, forse il più famoso e apprezzato musical in lingua tedesca che vanta un totale di quasi 10 milioni di spettatori in tutto il mondo, dall’Europa al Giappone. Elisabeth ripercorre la storia dell’imperatrice d’Austria Elisabetta, più conosciuta come Sissi, e del suo incessante “valzer” con la morte, raccontata – o meglio cantata – dal suo assassino, l’anarchico italiano Lucheni, voce narrante e quasi co-protagonista anche grazie agli intermezzi comici che sdrammatizzano la serietà della trama. Com’è stata recepita dal pubblico l’interpretazione di un personaggio italiano da parte di un cantante italiano e che cosa ha significato per te questo ruolo?
Devo un po’ sorridere. Pochissimi nelle – per l’esattezza – mille e dieci repliche di “Elisabeth” nei panni di Luigi Lucheni si sono resi conto che sono italiano! “Elisabeth” è un bellissimo pezzo di teatro musicale. Il ruolo di Lucheni in “Elisabeth” è un cosiddetto ruolo di contrappunto e di “conferencier”. Il personaggio entra in scena dopo ogni singolo momento sentimentale del pezzo per fare una cosiddetta doccia fredda al pubblico dicendo che non tutto ciò che sembra romantico lo è: in verità è solo la facciata di un personaggio (l’Imperatrice Elisabetta) che la storia – o chi l’ha scritta – ha imbellito elevandola allo stato di una di un’eroina tragica, che, secondo Lucheni, non aveva niente di eroico. Questo è il contrappunto, il contrappeso alla protagonista inteso dagli autori del musical. È il lato “scomodo” di Lucheni per il pubblico. Per il resto Luigi Lucheni come “conferencier” ha una funzione di narratore e fornitore di informazioni al pubblico per definire la cornice di ogni scena, la data, il luogo e i retroscena di ogni situazione che non sono esplicitamente chiari a tutti. Un bel ruolo che per me ha significato misurarmi con i miei limiti vocali. Un altro aspetto artistico è l’assoluta assenza per il pubblico di momenti di identificazione con Lucheni: Lucheni è in scena costantemente e parla e canta ininterrottamente, ma mai di se stesso. É abrasivo, volgare, aggressivo, cinico, sarcastico, a volte freddo, critico, filosofico, analitico, furbo e dispettoso, ma il pubblico non riceve da lui informazioni riguardanti i suoi sentimenti e la sua personalità.
Il pubblico non ha possibilità di identificarsi con lui, cosa che succede invece con Elisabeth, Francesco-Giuseppe, con la malvagia suocera Sophie, con Rodolfo e persino con la Morte che trova in Elisabeth il suo tallone d’Achille. Lucheni in scena è completamente solo. È un ruolo solitario. Dal punto di vista della carriera questo ruolo (in cui ho debuttato mentre studiavo ancora al Conservatorio di Vienna) è stato il mio trampolino per altri grandi ruoli protagonisti che ho avuto la fortuna di recitare come Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Anatoly Sergjewsky nel Musical “Chess” e Alfred in “Tanz der Vampire”. Dal punto di vista delle esperienze è un ruolo con mille sfaccettature e quindi divertente ed estremamente interessante da recitare. Grazie a questo ruolo ho vissuto in bellissime città e Paesi in tournée in Giappone, in tutta la Germania, Austria e Svizzera. Un altro regalo che Lucheni mi ha fatto è stato il mio debutto in Italia in occasione di “Elisabeth” a Trieste nel 2004 e nel 2005, nella città, quindi, dove è cominciato tutto.
Parliamo ancora di Elisabeth. Sembra che questo musical porti fortuna ai suoi interpreti italiani, come te e come Roberta Valentini, definita da alcuni critici come una delle migliori Elisabeth. Il timbro, la potenza vocale e l’energica capacità espressiva degli artisti italiani risaltano nettamente sui palchi di Vienna, Essen e Berlino, senza nulla togliere ovviamente agli interpreti di madrelingua tedesca. Si potrebbe dire: “Italians do it better”? Questa differenza viene percepita dal pubblico o è più forte il “patriottismo” a favore degli interpreti del Nord Europa?
Sinceramente non lo so. Forse bisognerebbe girare la domanda al pubblico d’Oltralpe. Ho avuto il piacere di lavorare con Roberta per un piccolo progetto in studio d’incisione ma in “Elisabeth” lei ha recitato con il mio successore nel ruolo di Lucheni, dato che io mi ero dedicato ad altri progetti e ruoli. Roberta Valentini ha una voce molto bella e un temperamento forte e so che è stata una splendida “Elisabeth”. Le colleghe che io, impersonando Lucheni, ho “assassinato” erano prevalentemente olandesi, Pia Douwes, Maya Hakvoort e Annemieke Van Dam (che saluto calorosamente, anche se nessuna di loro parla italiano). Tutte bravissime. Sono orgoglioso di avere recitato al loro fianco. Ma mi fa molto, molto piacere che Roberta abbia tenuta alta la bandiera italiana raccogliendo critiche così positive: complimenti, saluto calorosamente anche lei (che parla perfettamente l’italiano e il tedesco).
“Italians do it better”? Sicuramente direi “Italians do it very, very, very, very well”!! Il pubblico dell’area di lingua tedesca è molto aperto, non mi risultano favoritismi basati sulla provenienza di un artista, a meno che questa provenienza non si rifletta nei ruoli quando non dovrebbe, cioè quando si sente nella ruolo un accento estraneo alla lingua tedesca là dove non è previsto dal personaggio. Sono fortunato: grazie alla formazione linguistica che ho ricevuto in Italia, prima al liceo e poi all’università, questa critica mi è sempre stato risparmiata. Nella mia interpretazione sono sempre stati apprezzati il temperamento, la verve e una certa fantasia, creatività e onestà nell’interpretazione. Naturalmente la gestualità tipicamente italiana, non poteva mancare! Sono grato e contento, se tutto ciò è vero, di avere portato e di portare le sfumature espressive del mio paese sulle scene.
Vocalmente è possibile che ci sia da parte degli italiani una “musicalità sanguigna naturale”, la musica “made in Italy” è moneta forte da sempre e ce la portiamo nelle vene dovunque andiamo. Il cantare “a gola aperta” per noi è quasi una seconda natura. Quando si parla di bellezza di una voce, siamo nell’ambito dei gusti e delle opinioni. Ci sono voci capaci di “fuochi d’artificio”, imbellimenti vocali che possono lasciarmi indifferente. Una voce deve toccare il pubblico dal di dentro ed esprimere cose che muovono i sentimenti. Spero di fare la mia parte in proposito.
Sissi, suo cugino Ludwig II di Baviera e il principe ereditario Rodolfo, morto suicida a Mayerling, ma anche Mozart, la Papessa Giovanna, Maria Antonietta e la protagonista senza nome di Rebecca, la prima moglie. Tormentati eroi e antieroi della storia e della letteratura europea popolano l’immaginario dei musical nell’area culturale germanofona. Temi e protagonisti almeno apparentemente lontani da ciò che in Italia (per via delle atmosfere più soft e meno impegnate dei musical più famosi di Broadway – con buona pace degli autori di Rent e Les Miserables…) si intende comunemente per “musical”. Secondo te, che cosa ha influito maggiormente nello sviluppo del carattere unico e inconfondibile del musical “made in Mitteleuropa”?
Ogni popolo ha la sua cultura, storia, letteratura e le sue arti. È sempre stato il compito delle arti di reinterpretare le storie vicine al popolo da cui provengono con i suoi eroi e antieroi. Perchè non dovrebbe essere così anche per il Musical? Nella prima domanda abbiamo già parlato dell’urgenza per il Musical di essere integrato nel mondo dell’arte alla pari dell’opera e del teatro di prosa invece di essere ridotto a una funzione di puro intrattenimento ai bordi del mondo culturale. Broadway e il West-End londinese ce lo hanno già insegnato e mostrato con pezzi di teatro musicale come “1776” e “Civil War”, entrambi riguardanti la guerra civile statunitense tra Nord e Sud, “Ragtime” che tratta dell’emancipazione degli schiavi afroamericani, “Evita” con le profonde controversie di questa figura femminile, “Jesus Christ Superstar”, “Sunset Boulevard” che getta una luce sugli abissi nascosti dietro alla superficie indorata di Hollywood, “Ghost”, tratto dal film drammatico omonimo, “Assassins” che raccoglie le storie degli attentati ai presidenti della storia statunitense, “Into the Woods” che rivela il lato drammatico delle più famose favole a lieto fine, “Sweeney Todd”, che narra i tragici retroscena che hanno spinto il protagonista ad assassinare con il suo rasoio da barbiere i colpevoli, “Cabaret”, che ci mostra gli anni crudi che precedettero la seconda guerra mondiale.
In Germania già Wagner ha narrato le storie provenienti dalle antiche leggende germaniche. Il passo che conduce “Elisabeth”, “Mozart”, “Rudolf”, “Ludwig”, “Marie Antoinette” o, più recentemente, “Schikaneder” alla loro “versione Musical” è breve. Il pubblico ama sentire le storie dei “grandi” del proprio paese narrate in un modo nuovo, magari sotto una luce nuova, rivisitata. Non c’è niente di meglio del film e del teatro musicale per farlo.
In Italia Giuseppe Verdi si è valso di storie popolari, come quella del moro di Venezia per la sua opera “Otello”, ma anche di eroi di altre storie come quella di Violetta già conosciuta nel romanzo “La Signora Delle Camelie” per la sua opera “La Traviata”. Anche questa lista è lunga. E se facessimo anche noi italiani questo passo e scrivessimo un musical su Dante Alighieri? Oppure sulla storia controversa di Galileo Galilei? Non so se la Chiesa Cattolica sarebbe in grado di accettare i temi e le critiche che questo personaggio impone, ma anche “La Papessa” ha riscontrato forti risentimenti da parte della Chiesa. Ma questo è un altro tema. Non è stato mai il compito delle arti quello di schivare le opposizioni. Oppure che ne diresti di un Musical su “Michelangelo”, su “Da Vinci” o su“I Medici”? Con la nostra storia noi italiani potremmo dare un contributo gigantesco alla lista dei Musical drammatici. Questo senza nulla togliere ai bellissimi Musical “leggeri” che amo. Io stesso attualmente sto scrivendo i testi e il libretto di un pezzo di teatro musicale per l’area di lingua tedesca di carattere più leggero e spensierato.
“La musica oltre il musical”: qualche anno fa hai realizzato un album da solista per il pubblico tedesco in cui reinterpreti alcuni grandi classici della musica leggera italiana. Puoi raccontarci questa esperienza? Come viene percepita la musica italiana in Germania?
I tedeschi amano la musica italiana. Mina, Patty Pravo, Rita Pavone hanno inciso alcuni dei loro successi anche in versione tedesca. Eros Ramazzotti, Laura Pausini e Nek sono, tra altri nomi, famosi e molto richiesti. Adriano Celentano era un grande in Germania e Austria negli anni Settanta e Ottanta, così come Milva.
Le canzoni contenute nel mio album le canto da quando sono bambino. Mia madre aveva uno scatolone con vecchi dischi single a 45 giri che conteneva tutte le canzoni che ho rivisitato insieme al Direttore musicale e compositore Dominik Grimm. Sono tutte canzoni degli anni Sessanta, gli anni della gioventù di mia madre che mettevo sul giradischi.
Volevo inciderle da sempre. Con Dominik Grimm ho voluto “scongelare” e arricchire quelle bellissime canzoni, ripercorrendole esattamente nello spirito con il quale furono scritte e proposte al pubblico degli anni Sessanta, incentivate, però, da arrangiamenti per un’orchestra sinfonica di cinquanta elementi in alcuni pezzi. Un suono pieno, da grande orchestra, forse per alcuni un po’ fuori moda. Ho pensato che tutto sommato, essendo il mio album, potevo anche permettermelo. Lo rifarei esattamente come l’ho fatto e ringrazio Dominik Grimm che mi ha affiancato con instancabile entusiasmo e professionalità. Mi sono divertito un sacco.
Ho poi scritto il testo per una traccia dell’album che ha poi gli ha dato il titolo: “Tra Cielo E Mare”. È una piccola canzone composta da Dominik Grimm nello spirito degli anni Sessanta il cui contenuto descrive ciò che l’album vuole essere, cioè una raccolta di canzoni della mia bellissima terra tra cielo e mare, dove la gente canta in casa con le finestre aperte, fischietta melodie salendo sul tram o guidando la Vespa e forse dimentica così i problemi quotidiani. Un’immagine dell’Italia un po’ alla “Vacanze Romane” che tuttavia mi ha permesso di passeggiare nella mia stessa memoria.
Bruno Grassini in Italia: quando? Finora ti abbiamo visto soltanto nella storica tappa italiana di Elisabeth a Trieste, al Castello di Miramare, nell’ormai lontano 2004. Quali sono i tuoi prossimi progetti, e tra questi ce n’è qualcuno che riguarda l’Italia?
Eh, sì! “Elisabeth” a Trieste è stata un’esperienza stupenda, fu il mio debutto italiano dopo tanti anni in scena all’estero.
La scorsa estate ho debuttato in lingua italiana a Melide, nel Canton Ticino, nel Musical drammatico “Titanic” di Maury Yeston, già un successo a Broadway ed Amburgo, nei panni di Mr. Thomas Andrews, l’architetto che progettò il transatlantico e affondò insieme alla nave tormentato dai rimorsi per gli errori fatti nel progetto. È stato il mio debutto in un ruolo integralmente in italiano, dato che avevamo repliche a giorni alternati in tedesco e in italiano. Un’esperienza faticosa (prove doppie ovviamente a causa delle due lingue), ma meravigliosa.
Non posso quindi ancora rispondere alla domanda “Bruno Grassini in Italia: quando?” Forse in italiano su YouTube con altri video non appena il team di produzione di “Titanic” mi darà il permesso dalla Svizzera di utilizzare alcune registrazioni.
Ho già accennato che sto scrivendo testi e libretto di un nuovo soggetto (basato su un romanzo tedesco da cui è già stato tratto un film), che è praticamente finito, ma potrò dire di più solo quando la casa editrice, l’autrice del romanzo e i produttori daranno il via alla fase di produzione.
Le bozze per altri due nuovi soggetti sono già sulla mia scrivania.
Tra le varie serate e gli appuntamenti del 2017 quello finora più rilevante è senz’altro il Concerto di Gala del 18 novembre nella Vechtetalhalle nella Niedergraftschaft Bentheim (Bassa Sassonia) con l’Orchestra Sinfonica Oost Nederlands Symfonie Orkest che vedrà come cantanti solisti me e la mia cara collega Isabel Dörfler affiancati dal coro di voci bianche Kammer-und Kinderchor der Musikschule Niedergrafschaft e dal grande coro olandese Stedelijk Koor Enschede. Titolo: “Symphonic Musical”. In programma alcuni dei maggiori successi dei Musical dei palcoscenici di lingua tedesca.
Per il resto i sogni e i progetti nel cassetto non mi mancano: una serata monografica dedicata al genio di Stephen Sondheim, grandissimo compositore e scrittore di incomparabili Musical come “Sweeney Todd”, o “A little night music”, o una serata solista con le grandi chansons di Jaques Brel, Charles Aznavour, Edith Piaf, Zarah Leander, Marlene Dietrich nelle mie versioni tradotte in Italiano, e altre di Luigi Tenco, Gino Paoli, Milva. Ogni chanson è un personaggio, quindi un ruolo: circa una trentina di ruoli in una serata, sarebbe un sogno per me.
Grazie per il tempo che ci hai dedicato!
Piacere mio!
By Andrea Duranti