Nelle sale per le feste di Natale, il film di Kenneth Branagh, basato sul romanzo omonimo di Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express fa incetta di incassi nella prima settimana di programmazione (sul podio con 220mila euro) e dimostra che l’enfant prodige del teatro inglese, considerato l’erede di Laurence Olivier, è ora il grande guru del cinema di evasione.
Non più solamente Shakespeare per il fascinoso (anche e soprattutto alla soglia dei sessanta) Sir Kenneth Charles Branagh che ora rilegge Christie con uno sguardo tutto teatrale e infonde al personaggio quello che la stessa autrice, abile artigiana di macchiette e cammei sociali e umani, non aveva voluto mostrare. Introspezione, empatia e humor, oltre alla solita maniacalità dell’ordine, fanno dell’Hercule Poirot di Branagh un’entità narrativa nuova rispetto a Austin Trevor, Tony Randall, Albert Finney, Peter Ustinov, Alfred Molina e David Suchet.
A iniziare dai baffi, più ampi e meno rigidi (in ossequio alle indicazioni della Christie: “i baffi più maestosi d’Inghilterra”), spazzolati come la coda di un pony Shetland, il personaggio costruito dall’attore e regista inglese esprime con maggiore fisicità i meccanismi della testa e del cuore nascosti dietro l’intuizione delle sue “celluline grigie”. Per il Poirot di Branagh scoprire l’assassino non è solo una manifestazione della propria famosa bravura, ma anche una dimensione della propria etica di essere umano. Cosa che spesso le altre interpretazioni avevano dimenticato di mettere in scena. Il delitto è una crepa su un muro e solo chi ama la perfezione la individua con facilità.
Insieme al Poirot firmato Branagh, con le lotte sospeso nel vuoto e le sue uova misurate al millimetro, sul treno della 20th Century Fox anche Judi Dench, Penelope Cruz (in un ruolo impegnativo che fu anche di Ingrid Bergman), Johnny Depp (ributtante come il suo personaggio, perfetta interpretazione, perfetto il trucco), Michelle Pfeiffer, Willem Dafoe, Josh Gad, Derek Jacobi e Daisy Ridley.
Il prodotto finale, grazie alle riprese e all’uso sapiente di fotografia e lavorazione tecnica, arriva come un regalo elegante e in un periodo, quello natalizio, spesso invaso dal puro intrattenimento e dalle battute scontate.
Niente di eccezionale, come dovrebbe essere il buon cinema.
By Matteo Tuveri