Se ne va Silvana Pampanini, 85 anni (ne aveva 90, ma se ne toglieva sempre cinque, quindi inutile contraddirla), adorabile “svampita” del cinema, acuta signora che contraddiceva in un battito di ciglia, e due o tre battute immancabilmente poco politically correct, l’assioma “bella = stupida” e che realizzava quello che a Marilyn riuscì pochissime volte, essere comica e sensuale al medesimo tempo.
Insieme a Silvana Mangano e Lucia Bosè, ha rappresentato la bellezza italiana nella prima metà degli anni Cinquanta, riempiendo i giornali con le sue foto e incidendo numerosi dischi con la sua bellissima voce (diplomata al Santa Cecilia).
Ha recitato con i grandi del cinema, da Totò a Buster Keaton passando per De Sica e De Filippo (ma anche con Dapporto, Tognazzi e Stoppa) ma non ha mai avuto l’attenzione che in realtà avrebbe meritato anche se, a parte farlo notare a chi di dovere (nel 2008 non ci mise molto per ricordare a Valter Veltroni di non averla invitata alla Festa del Cinema di Roma), partecipò con grande codazzo di paparazzi alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2009 in occasione della proiezione del suo film Noi cannibali di Antonio Leonviola. In quell’occasione Pedro Almodóvar disse di lei meraviglie (e non sarebbe potuto essere il contrario, icona gay per diritto concesso da “ciglia finte e mascara”).
Si sentiva in diritto di stare fra i grandi, nella sua autobiografia Scandalosamente per bene ha immaginato di parlare con Neruda, Lorca e Prevert. Degli uomini diceva di averne avuti tanti, “più dei mal di testa” aggiungeva (facendo una smorfia con la bocca).
L’ho incontrata negli anni Novanta (divento vecchio anche io e il “circa” è d’obbligo) in un cinema di Roma, era ingoiellata, profumava e aveva lunghe ciglia che poggiavano direttamente su quella enorme bocca in bilico fra un morbido divano e Greta Garbo (anche se Ava Gardner era la diva hollywoodiana più simile a lei). Ma a differenza delle dive, di cui si prendeva gioco (divertente la baruffa con la Lollobrigida nel 2006), la sua romanità le impediva di costruirsi un piedistallo troppo alto.
Le dissi qualcosa, forse «complimenti», e lei, me lo ricordo bene, rispose«e de che?».
By Matteo Tuveri
Immagine di copertina: Silvana Pampanini e Amedeo Nazzari in “Processo alla città” (Zampa, 1952, Public Domain)