Il calore familiare, la crescita (siamo tutti pellegrini nel percorso della vita, dice il teologo John Bunyan), gli affetti, la filosofia trascendentalista e la questione sociale, economica e femminile. Sono questi i capisaldi di Piccole Donne, ora trasposto cinematograficamente da Greta Gerwig, la stessa di Lady Bird (2017), che ha diretto un cast di tutto rispetto formato da Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Laura Dern, Timothée Chalamet, Meryl Streep, Tracy Letts, Bob Odenkirk, James Norton, Louis Garrel e Chris Cooper (ci scusino i lettori l’elenco, a onor del vero lungo ma soddisfacente).
La pellicola vanta non solo 66,4 milioni di dollari in Nord America e 20,4 nel resto del mondo, per un incasso complessivo di 86,8 milioni, ma anche due candidature ai Golden Globe, cinque ai Premi BAFTA, cinque riconoscimenti ai Boston Society of Film Critics Awards, quattro ai Chicago Film Critics Association Awards, il premio come miglior attrice non protagonista a Laura Dern ai New York Film Critics Circle Awards, miglior artista emergente a Florence Pugh ai San Diego Film Critics Society Awards e ben nove candidature al 2020 ai Critics’ Choice Awards.
La regia è paziente, mai lenta, curiosa, colorata, saggia e misurata e si affianca alla eccellente fotografia di Yorick Le Saux e ai costumi di Jacqueline Durran (che vanta collaborazioni a La bella e la bestia del 2017 e una nomination ai Premi Oscar 2006 per il suo lavoro in Orgoglio e pregiudizio e nuovamente ai Premi Oscar 2008 per Espiazione. Nel 2013 ha vinto l’Oscar ai migliori costumi per il suo lavoro in Anna Karenina).
Questa volta la storia approda in mani più esperte, rompendo la consequenzialità temporale con il gioco del flashback e dotando i personaggi di contorni psicologici e sociali più netti, ricchi di sfumature: troviamo una Meg (Emma Watson) in bilico fra l’amore coniugale e i tormenti economici ai quali va incontro non senza numerosi dubbi. Una donna per la quale l’amore non è una scelta ineluttabile, ma la conclusione di un allenamento “forzato” del cuore a vedere oltre le lusinghe dello status sociale che il marito, lo squattrinato John Brooke (James Norton), non è in grado di assicurarle. C’è poi la giovane e superficiale Amy (Florence Pugh), per la quale un buon matrimonio è tutto, che sarà capace di smascherare la realtà della subalternità femminile all’uomo, spogliando l’istituto matrimoniale dei suoi orpelli romantici e scegliendo un matrimonio scomodo e fortunato al medesimo tempo. Al centro della storia il rapporto fra Jo (Saoirse Ronan), la giovane idealista, aspirante scrittrice, intellettuale e femminista (sua la frase: “Le donne hanno una mente, hanno un’anima non soltanto un cuore! Hanno ambizioni, hanno talenti e non soltanto la bellezza! Sono così stanca di sentir dire che l’amore è l’unica cosa per cui è fatta una donna, sono così stanca di questo!“), la madre (Laura Dern), leone della famiglia, pieno di paure nascoste, e la piccola Beth, destinata a infrangere la corazza del ricco Sig. Laurence (Chris Cooper) e a morire consapevole della sua stessa fine.
Memorabili la scena in cui Marmee March confida alla figlia come il suo carattere sia ben poco incline alla sopportazione e alle pazienza, invitandola a scoprire il mondo con la forza dell’esperienza (le regole sono importanti, ma inventarsi le proprie, con i propri limiti, è in realtà la lezione più importante); o quella in cui il giovane Laurie (Timothée Chalamet) confida a una ritrosa Jo il suo amore, con semplicità perchè in fondo un sentimento non ha bisogno di grandi spiegazioni ma di una certa innocente immediatezza.
Una considerazione a parte va fatta per la Zia March interpretata da Meryl Streep: cinica creatura capace di indicare alle nipoti, con straordinaria crudezza, la natura sociale femminile, fatta al periodo di matrimonio, gravidanze e piccole civetterie domestiche. Perfetta fra le sue crinoline, la Streep da vita a una personaggio antipatico e vero, partecipa della vita familiare dei March quanto basta per condizionare anche con la sua dipartita, e il suo lascito, la vita di Jo e del marito Friedrich Bhaer (Louis Garrel).
Il film di Greta Gerwig è una pellicola di grande fascino che parte da un’opera letteraria memorabile, ormai testata d’angolo della letteratura mondiale, e arriva a restituire al pubblico un commovente ritratto di grande calore ed eleganza. Una delle migliori trasposizioni cinematografiche dell’opera di Louisa May Alcott.
By Matteo Tuveri