Giuseppe Sciarra, classe 1983, è un regista e sceneggiatore, ma anche scrittore e attore, di San Giovanni Rotondo, con una visione ampia che guarda all’Europa e alla creatività con mente aperta. Sguardo del sud, zigomi pronunciati e tanta voglia di percorrere il mondo con la forza delle idee e dei suoi polpacci. Lo abbiamo intervistato per percorrere insieme a lui i ricordi di una carriera, di una formazione e di un’anima nel mondo della regia, e dell’arte, nell’Italia contemporanea.
Il suo approccio alla regia cinematografica inizia nel 2012 con il cortometraggio “Dyonisus”, un tributo al Dio greco e alla tragedia delle baccanti di Euripide. Nel 2013 realizza il mediometraggio “Ad Vitam Redire”, presentato con successo in occasione di nuemrosi festival internazionali. L’anno successivo, inarrestabile, da il via a una collaborazione artistica con la fotografa Antonella De Angelis con cui realizza un cortometraggio fatto esclusivamente di foto, “Santità”. La pellicola viene selezionata in importanti festival di cortometraggi in giro per il mondo: Cinalfama Lisbon Festival, Los Angeles Cinefest e il Filmstrip International Film Festival. A Santità seguono altri lavori, ” Apocalittica” e ” Amor Babilonia”. Nel 2017 in collaborazione con l’attore teatrale Federico Balzarini realizza due cortometraggi che hanno ottimi riscontri in vari festival internazionali, “Je suis Malade” e “Iesus Martyr”. Tra il 2017 e il 2018 inizia le riprese del suo mediometraggio ” Odiare”, nel quale affronta lo spinoso tema della violenza sulle donne. Nello stesso realizza il cortometraggio ” Venere è un ragazzo” che ha come brano portante l’omonima canzone del gruppo inglese dei The Irrepresibles ” Two Man in Love”. Al contempo realizza un film fotografico, tratto dal conrtometraggio, in collaborazione con la fotografa Antonella De Angelis.
Ci siamo conosciuti per Venere è un ragazzo, pellicola controversa che mette in scena – con brevità e incisività – la storia di Michele, crossdresser che si prostituisce per aiutare la sua famiglia, Emanuele e Ornella. Tre vite che si incontrano al carrefour di un vuoto interiore che li spinge a creare dipendenze alle quali aggrapparsi.
È una domanda alla quale ti avevo preparato, quindi la affrontiamo: per un regista indipendente, per giunta del sud, muoversi nel mondo – e nei meccanismi – del cinema indipendente sembra una grossa fatica. Quali sono i difetti, i problemi e gli ostacoli contro i quali ti scontri maggiormente in quanto regista e artista?
In Italia ho la sensazione come regista, artista e essere umano di sentirmi in trappola. Sento una pressione addosso che va ben al di là del mondo cinematografico. È una pressione culturale e sociale che inconsciamente ti devasta perché inquina quello che dovrebbero essere l’arte e la vita: spontaneità, essenza dell’essere, libertà e anarchia. Sei in perenne lotta con un sistema capitalistico occidentale che ti stritola e per giunta che ti fa credere di essere libero come artista e come persona ma in realtà solo se rispetti i codici delle sue leggi, spesso crudeli e poco democratiche. In qualsiasi ramo artistico hai chance solo se ti rifai a modelli collaudati e che portano denaro. È difficile mantenere una propria identità e non cedere alle pressioni del sistema. Io cerco di adeguarmi e di difendere la mia missione “far dialogare la gente con la propria anima”. Da indipendente ci riesco abbastanza bene. Vedremo in futuro. Comunque tutto questo ovviamente non avviene solo in Italia ma un po’ ovunque. Anche se credo che qui ci sia molta paura nell’osare sul serio. Si punta poco sulle idee innovative.
Il mondo lgbtq+ e il cinema: un amore consolidato che porta il nome di numerose rassegne in tutta italia e non solo (Usn|Expo Sardinia Queer Short Film Festival, Festival MIX Milano, BFI Flare: London LGBT Film Festival, Lovers Film Festival – Torino LGBTQI Visions e molti altri). La liberazione sessuale, intesa come scioglimento dell’individuo dai legacci delle etichette sociali legati all’identità di genere, ha uno stretto rapporto con il cinema indipendente e la rappresentazione del corpo (maschile e femminile). Cosa ne pensi?
Credo che il cinema indipendente sia sempre stato molto sensibile al tema del gender e alla rivoluzione sessuale proponendo con grandi sforzi pellicole interessanti in merito, anche spesso poco conosciute. Al contrario il cinema delle major si è sempre dimostrato bigotto verso questi temi. Solo adesso si è aperto a una rappresentazione del maschile e femminile meno stereotipata per questioni puramente commerciali peró, perché l’argomento non è più scomodo. Il che mi fa arrabbiare tanto. Certo cinema avrebbe potuto accelerare la battaglia per i diritti lgbtq per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, invece ha preferito che la matassa se la sbrogliassero solo gli attivisti e quegli artisti fuori dal sistema. Il cinema indipendente in tal senso poteva fare ben poco. Forse con il film Philadelphia e successivamente con Brokeback Mountain il cinema mainstream ha fatto realmente qualcosa esplicitamente per la causa portando a un’ulteriore cambiamento culturale.
Ci puoi parlare dei tuoi progetti futuri?
C’è tanta carne al fuoco riguardo i miei progetti futuri. A cominciare da una video istallazione sulla meditazione trascendentale che vede la mia collaborazione con il fotografo Enrico Manfredi Frattarelli e la videomaker Camilla Crescenzi. Il titolo è “Luce Vedica: delle meditazioni trascendentali”. Vorrei proporlo nei musei. Ho in uscita anche un documentario su un pittore molto bravo, si chiama Lorenzo Attolini. Questo cortometraggio è stato realizzato con in collaborazione con l’artista Albakia e con i ragazzi di una scuola di cinema, l’istituto Rossellini di Roma. È un progetto molto particolare. A tal proposito ringrazio Manuela Faini che mi ha permesso assieme alla scuola di poterlo realizzare con tutti i crismi e Albakia che si è cimentata in un’operazione tra cinema sperimentale e video arte non semplice nel montarlo e nel creare ulteriori immagini oltre a quelle preesistenti. Per finire ho un progetto top secret su cui per adesso non voglio dire nulla per scaramanzia. Incrociamo le dita.