“Solo quando ci siamo perduti, o in altre parole, solo quando abbiamo perduto il mondo, cominciamo a trovare noi stessi, a capire dove siamo e l’infinita ampiezza delle nostre relazioni”. Così scriveva il filosofo Henry David Thoreau e questo suo pensiero racchiude il senso del film L’imprevedibile viaggio di Harold Fry nelle sale cinematografiche italiane dal 5 Ottobre (snobbato da certe grandi catene multisala). Il film di Hettie Mcdonald con Jim Broadbent e Penelope Wilton, è tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Joyce (che ne scrive la sceneggiatura) e porta la nostra attenzione sul tema della speranza, della fede e della salute mentale (la Societa Italiana di Psichiatria ha recentemente affermato come i disturbi mentali siano la pandemia del futuro ndr). Non una fede strettamente religiosa ma personale, nel senso di fiducia in sé stessi e negli altri esseri umani: fiducia nel fatto che un piccolo gesto, anche il più insignificante, possa cambiare, oltre a noi stessi, il mondo che ci circonda e alleggerire l’esistenza di chi incontriamo nel nostro cammino.
La storia
Harold è un uomo anziano che conduce una vita ordinaria insieme a sua moglie Maureen a Kingsbridge, piccola città della contea inglese del Devon. I giorni si susseguono uno uguale all’altro nell’ordinaria routine domestica tra pulizie di casa e commissioni, fino a quando Harold riceve una lettera. È della sua ex collega di lavoro Queeny che le comunica di essere molto malata e di trovarsi in un hospice a Berwick-Upon-Tweed, cittadina al confine con la Scozia. Che fare? Quale è la risposta migliore da recapitare a Queeny senza essere scortesi e non farle pesare troppo la sua condizione di malata terminale? Harold ci pensa e ci ripensa, è pronto a inviare una lettera di saluti alla amica ma la vita continua a stupirlo con un incontro fortuito: la ragazza dai capelli blu della stazione di servizio che lo illuminerà con le sue parole di fede e speranza. E Harold prende così la folle decisione di andare a trovare Queeny, ma di andarci a piedi percorrendo 800 km perché fermamente convinto che, fintanto che lui camminerà, Queeny lo aspetterà e vivrà. Nel suo percorso attraverso le campagne inglesi e le città post industriali, in un paese diviso fra storia, disillusioni e nuova povertà, intervallato da piccole soste con telefonate a Maureen e invio di cartoline a Queeny, incontrerà tante persone che lo aiuteranno e lo faranno sentire meno solo e inconsapevolmente, come un attempato Forrest Gump, diventerà famoso senza rendersene conto. Tante persone lo seguiranno nel suo viaggio attraverso l’Inghilterra.
Un viaggio nella fiducia
Ma il viaggio di Harold non è solo un viaggio fisico. Scoprirà che il suo è un viaggio emotivo e mentale che lo metterà davanti al fallimento della sua vita, ma gli insegnerà che la natura con la sua semplicità è capace di stupire e curare l’anima ferita dalle avversità della vita. Attraverso i suoi occhi limpidi passano come in un sogno fotogrammi di ricordi ingialliti dal tempo che stupiscono anche noi spettatori perché ci aiutano a comprendere la sua storia, alternati a vivide immagini della campagna inglese con i suoi colori e rumori.
Il suo viaggio fisico e mentale è un alternarsi di disperazione e speranza, di senso di colpa per un passato inevitabile e al contempo di stupore per le piccole cose. Passo dopo passo capiamo la più profonda motivazione della sua impresa e quella di sua moglie Maureen che lo aspetta a casa e lo asseconda nel suo progetto facendosi da parte ma aiutandolo in ogni modo possibile. Un piede davanti all’altro, mettersi in marcia e avere fiducia nelle persone perché “le persone sono gentili, nel complesso sono gentili“.
Jim Broadbent nel ruolo di Harold e Penelope Wilton, che interpreta Maureen, commuovono profondamente perché pieni di umanità; Earl Cave, nel ruolo di David, presenza costante nei ricordi di Harold, giovanissimo attore figlio del cantante Nick Cave, colpisce lo spettatore per l’imponenza della sua presenza scenica. La fotografia magistralmente diretta da Kate McCullough, ci fa entrare in empatia con il protagonista e trasforma i paesaggi nell’espressione visiva dei suoi stati d’animo. La colonna sonora con le musiche composte da Ilan Henry Eshkeri e le canzoni di Sam Lee, è la voce di un cammino interiore.