L’arte della biografia, come è noto, racchiude le abilità della storia, della scrittura e della psicanalisi e non appare fra le doti più diffuse, specialmente al giorno d’oggi, fra gli esseri umani dediti alle arti.
Qualora si dovesse chiedere alla settima arte di indicare un biografo convincente, senza dubbio essa indicherebbe l’ateniese Yorgos Lanthimos che, con il suo ultimo lavoro, La favorita, riesce a soddisfare pienamente i criteri e le abilità sopra esposte.
Non è un caso che il film abbia al suo attivo dieci candidature agli Oscar; quattro ai Golden Globe; un Golden Globe a Olivia Colman; la Coppa Volpi a Venezia per Olivia Colman; il Gran Premio della Giuria a Venezia; il premio per il miglior cast ai Gotham Independent Film Awards; dieci premi ai British Independent Film Awards; nove candidature al Satellite Award e dodici candidature ai British Academy Film Awards.
Non senza l’aiuto di una sceneggiatura d’eccezione, firmata da Deborah Davis e Tony McNamara, e di una fotografia curiosa, egocentrica e impeccabile (Robbie Ryan), La favorita (prodotto da Element Pictures, Scarlet Films, Film4 e Waypoint Entertainment e distribuito da 20th Century Fox) racconta le vicende della Regina Anna del Regno Unito, la prima a portare quel titolo (ma anche la prima a delegare ampi poteri al Parlamento, ad assecondare la nascita del bipolarismo Whig e Tory e a propugnare una legge per la salvaguardia del Copyright), e delle sue favorite: Sarah Churchill, duchessa di Marlboroug, e Abigail Masham.
Le vicende dell’ultima degli Stuart sul trono inglese (1707-1714), inadatti – questi ultimi – per costituzione familiare e culturale a ruoli di responsabilità, e delle due favorite, rispettivamente Keeper of the Privy Purse (responsabile delle finanze della Casa reale) e Lady of the Bedchamber, viene rappresentata da Lanthimos con i tratti della commedia e il retrogusto del dramma umano senza perdere di vista il ritratto storico, ottimamente rappresentato dal grandangolo, dai costumi e dai dialoghi in cui l’eloquio, la scelta del linguaggio e persino l’insulto assumono una posizione centrale.
I privilegi della favorita duchessa di Marlboroug (Rachel Weisz), revisore dei conti della Corona e amante della Regina, vengono insidiati dalla di lei cugina Abigail Masham (Emma Stone), mentre Anna, la regina, interpretata da Olivia Colman – perfetta, drammatica maschera della solitudine data dal potere – è alle prese con il finanziamento della guerra contro la Francia. Nella camera della Regina amplessi nevrotici, ministri, dolcezze, malattie (gotta e erisipela), il ricordo di 18 gravidanze, tutte concluse con la perdita dei figli, e alcune piccole bizzarre gabbie con 17 conigli, ognuno il simbolo di una gravidanza perduta, di una maternità negata, di un ruolo sociale e politico mai posseduto. La Colman è perfetta: quando biascica, quando inveisce, quando trascina il braccio paralizzato sulle carte di stato mentre rimpiange libertà, amore e scaltrezza.
Il coniglio ricorre, e corre nella pellicola, come nella narrazione macabra e grottesca di una Alice in Wonderland, e indica alle favorite in lotta per il potere e l’amore della Regina (che è Regina di Cuori per davvero: decapita ed esilia, proprio come nel romanzo di Lewis Carroll), un tempo che fugge e che risucchia energie e sentimenti per lasciare poi appassiti i suoi fiori in nome della sopravvivenza in un mondo di lupi affamati (“sono stati i lupi” risponde la povera Abigail alla Regina).
Il potere, come confida Robert Harley, I conte di Oxford, alla nuova arrivata a Corte “is a breeze that shifts direction all the time. Then in an instant you’re back to sleeping with a bunch of scabrous whores” (è una brezza che cambia continuamente direzione. In un istante ritorni a dormire con un gruppo di scabrose puttane n.d.r.).
La condizione femminile che il regista racconta è spietata, come lo è del resto quella umana tout court: lupi affamati dietro conigli dotati di lunghi artigli e affilati denti, ruoli crudeli prescritti alla donna da un’umanità cieca, pugnali, veleni e vomiti in un palcoscenico in cui tutto è lecito: lo stupro, l’assassinio, il furto e la finzione sopra ogni cosa.
La pellicola, uno dei migliori dieci film dell’anno secondo l’American Film Institute, non è un film per tutti, è uno spietato affresco non solo di un’epoca, non solo di alcuni personaggi storici, ma anche di un’intera umanità.
By Matteo Tuveri