Un proverbio sostiene che “prima di giudicare una persona occorre camminare tre lune nelle sue scarpe”, mentre una frase di Luigi Pirandello recita: “Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare“. (L’uomo dal fiore in bocca e poesie sparse).
Sul sito web dell’Empathy Museum sono riportati i versi di Mary Torrans Lathrap: “Just walk a mile in his moccasins / Before you abuse, criticize and accuse. / If just for one hour, you could find a way / To see through his eyes, instead of your own muse“. (Judge Softly, 1895). E ancora, l’installazione inglese “A Mile in My Shoes“, letteralmente una enorme scatola di scarpe, è un negozio di calzature in cui i visitatori sono invitati a camminare per un miglio nei panni di qualcun altro. Ospitata in una gigantesca scatola da scarpe, la mostra itinerante contiene una serie di scarpe e storie audio che esplorano e mettono in mostra storie di varia umanità. Da un rifugiato siriano a una prostituta, da un veterano di guerra a un neurochirurgo, i visitatori sono invitati a camminare per un miglio nei panni di uno sconosciuto mentre ascoltano la loro storia. Le storie coprono diversi aspetti della vita, dalla perdita e il dolore fino alla speranza e all’amore, e portano il visitatore in un viaggio empatico rappresentato dalle scarpe indossate.
Sono tempi difficili ed esplosivi quelli in cui tutti ci troviamo a vivere, una maledizione cinese li definisce “tempi interessanti”. Eppure questo Belpaese continua a camminare, nonostante le scelte sbagliate, nonostante la faziosità e i furbi dell’ultima, e della penultima, ora. Cammina sulle gambe delle persone comuni, vive attraverso i piedi di chi ogni giorno, nonostante l’indifferenza del sistema, dei luoghi comuni sul “successo”, insegue la sua inimitabile meta.
Ed è proprio su queste persone che ci siamo voluti concentrare, partendo dalle loro scarpe, da una foto e dalla loro esperienza, anonima ma profonda, in tempi in cui un virus invisibile si rafforza e un’economia delicata si flette – sperando che mai si spezzi – sopportando i duri colpi della crisi. Consci che “solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle a essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre”. (Eloi Leclerc, Exilio y ternura).
Danilo Mallò, scrittore e comunicatore, vive nelle sue scarpe con entusiasmo, e le fotografa su un tappeto di foglie, piene di libri, una penna e parole. Confida: “nascere è statico, manca di azione, ancora non c’è la scoperta, è lontano il movimento. Nascere non basta, bisogna camminare, esplorare, è necessario fare esperienza per farsi uomini e donne, per poter narrare. Io non ricordo la mia nascita, ma sì, benissimo, ricordo ogni mia camminata“.
Per te il vivere fa parte di una grande narrazione, dico bene?
Assolutamente si! Tutto è officina della narrazione: la fotografia, i laboratori di scrittura, quelli di teatro, le presentazioni dei libri, le trame e gli intrecci di questi, le relazioni, l’ascoltare le persone. Tutto è stato un passo e tutti i passi hanno permesso che io arrivassi ad organizzare trentatré salotti letterari, di fondare Le Pergamene di Melquiades, di scrivere, di pubblicare Memorie di un’anima. Sono arrivati i successi, certo che fanno piacere, ma io dico sempre che successo è un verbo coniugato al passato. Ma a me interessa il futuro, io bramo fare altri passi, andare, camminare, arrivare in luoghi che non conosco, stancarmi, stupirmi, permettere a quel che incontro lungo il cammino di ingentilirmi l’anima. Che siano benedetti i miei piedi e le mie scarpe.
Mariapia Ciaghi, giornalista e imprenditrice nell’editoria, mostra le sue scarpe nere, leggermente deformate dall’uso, di fronte a uno specchio, poggiate sulla cementina anni sessanta della sua casa. La sua storia è una storia “infinita”, quasi un film: “dopo il liceo scientifico, la laurea alla Freie Universität di Berlino e la specializzazione alla École Supérieure de Réalisation Audiovisuelle a Parigi, ho avuto la fortuna di fare gavetta con registi di fama nazionale e internazionale, di frequentare filosofi e tradurre saggi in lingua tedesca. Ho creato riviste, digitali e cartacee, ho corretto bozze alle due del mattino senza essere pagata, fatto lavori sottopagati che mi hanno permesso di lavorare a documentari a basso costo con la mia Bolex Paillard 16 mm. Non mi sono mai tirata indietro”. Ci dice Maria. “La mia fortuna? Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia e frequentare ambienti in cui l’interesse per l’arte e la creatività sono stati sempre vissuti come uno stile di vita, a prescindere dal consenso del pubblico e dal mercato”.
“Ho ballato e suonato, scalato montagne, percorso deserti e foreste, avuto malattie terribili, alle quali sono sopravvissuta. Ho avuto un figlio, quando la scienza mi diceva che non sarebbe stato possibile”.
Tachi Pirina, Drag Queen dal 2018, ci ha mandato la foto dei suoi tacchi e ci ha detto: “non amo definirmi, sono semplicemente me stesso. Pur essendo un ragazzo omosessuale cisessuale, amo giocare con il mio corpo, amo poter dare vita a ciò che la mia mente immagina (o almeno, ci provo). L’arte ci insegna che i capolavori non derivano da schemi fissi come invece vorrebbe imporre una certa parte di società, ma deriva dalla creatività e dall’ingegno. Come un pittore fa con una tela, o con un qualsiasi oggetto a cui dare forma, il mio corpo è la materia grezza su cui creare il mio personaggio, qualsiasi esso sia.”
Ma cosa c’è dietro al tuo personaggio?
Un semplicissimo ragazzo di città – prosegue – che, come tutti, vuole farsi strada nel mondo, crearsi un futuro e assicurarsi uno stile di vita dignitoso. Nel mio caso ho lavorato come cameriere in uno dei locali gay più noti della Sardegna, questo ha permesso anche al mio personaggio di andare in scena (giocando sul fatto che fossi anche il cameriere del locale in cui mi stavo esibendo).”
E della situazione attuale (pandemia, lockdown, quarantena e lavoro), cosa ne pensa?
“La situazione, purtroppo, è abbastanza critica. In questa situazione è quasi impossibile trovare lavoro, anche se non perdo la speranza.
E del concetto di successo cosa pensa Tachi Pirina: la notorietà, gli autiografi, i soldi o un “mestiere” in senso tradizionale?
Per rispondere a questa domanda, parto da un anno artistico molto felice per me: il 2018. Per rispondere a questa domanda, farò prima un piccolo preambolo. Iniziai a fare la drag per pura noia, dato che avevo finito la stagione lavorativa. Non ero capace di vestirmi, truccarmi e, ancor meno, a far ridere un pubblico. La prima volta che ebbi modo di salire sul palco, la serata si concluse con un grande applauso, mai mi sarei aspettato nemmeno nelle mie più sfrenate fantasie. Le Drag professioniste mi presero sotto le loro ali protettrici e mi in segnarono i trucchi del mestiere. Capii quale fosse la mia idea di successo: non avevo il minimo interesse ad essere una figura di riferimento, non volevo i follower virtuali o impormi atteggiamenti per vere un tono in cui non mi sarei mai riconosciuto. La mia idea di “successo” era sapere che le persone sarebbero ritornate a vedere i miei spettacoli, poter sollevare per due ore le persone dal peso della quotidianità e farle ridere a crepapelle (quando ci riuscivo); raccontare le mie disgrazie con l’ironia e l’autoironia che, penso, distinguano me ragazzo ancor prima che Drag. La mia idea di successo è questa: veder tornare ogni volta le persone e aiutarle a scappare, anche solo per un paio d’ore, da una realtà abbastanza complessa e parecchio pesante.
Marcello, consulente di marketing, beta tester e fotografo freelance, ci ha parlato della sua carriera: “ho cominciato la mia carriera lavorativa come programmatore web e beta tester di gestionali e siti web per poi appassionarmi al web marketing e alla fotografia che ha completato la mia figura di consulente. Il lockdown è stato difficile per il semplice motivo che sono mancati i rapporti con famigliari più stretti, gli amici e soprattutto il lavoro con i colleghi. Nonostante tutto è stato un periodo attivo, perché ho avuto modo di formarmi con corsi online e di passare più tempo con mia moglie e il mio cane”. Un consiglio dopo l’esperienza della prima ondata della pandemia: “non perdersi mai, ma trovare la forza di andare avanti anche nei periodi più difficili.”
Tiziana, ostetrica con scarpe fluo e cucciolo maltese, ha detto della sua professione: “dopo 18 anni intensi passati nei reparti di ostetricia e ginecologia di Brescia, Milano e Cagliari, oggi porto la mia esperienza e professionalità al servizio screening della Provincia di Cagliari”. Come ha passato il lockdown: “tra turni in ufficio, il lavoro a casa, le ferie forzate e le coccole a mio marito e mio figlio peloso che per esigenze di lavoro vedevo solo per cena. Il mio pensiero davanti a questo periodo? Non compatirsi mai, ma agire ed essere vivi”.
Bellissimo ed interessante articolo…