Nella storia degli ultimi tremila anni, le donne raramente hanno avuto voce, nell’arte, nella musica, nella cultura, e ancora meno nella discussione sulla sessualità. Il desiderio femminile è stato troppo spesso considerato un tabù, vietato, regolato da leggi, purificato (si prendano ad esempio le storie di estasi delle sante), epurato con cinture di castità e altri strumenti di tortura. Le donne che hanno scritto dei loro desideri e delle fantasie erotiche hanno fatto spesso ricorso a sotto-testi, a suggestioni poetiche, allegorie, sfumature. Negli ultimi trent’anni, finalmente le donne reclamano la propria voce: il dibattito femminista su sessualità, erotismo e desiderio nell’arte, ci ha restituito il diritto di parola. Anaïs Nin, nell’introduzione de Il Delta di Venere, diceva che il linguaggio del sesso deve ancora essere inventato. Il linguaggio è potere. Dobbiamo quindi rifiutare un linguaggio fallocentrico, fatto di lemmi quali puttana, zoccola, ninfomane, frigida, usati secondo il bisogno del caso per sminuire e condannare il desiderio (o l’assenza di esso) di una donna, bisogna riappropriarsi dei termini, anche quelli forti, che descrivono il nostro corpo. Bisogna ricordare e forse un po’ impersonare le figure mitiche e spirituali di Kali ed Inanna, entrambe simbolo di un femminino incarnato, che comprende che nell’atto di distruggere si può ricostruire.
Nel cerchio di luna canta stanotte la mia vagina un verde canto di bimba sussurra intorno ai fuochi nelle alcove d’amore sulle culle stanotte la mia vagina impreca dà voce a tutte le donne le mamme le streghe – sorelle tuona con Kali ed Inanna e poi in viola piange la mia passerina violata di notte ancora ed ancora nei vicoli ciechi pretesa di fallo che è oltraggio mai sazio il grande animale Nel cerchio di luna stanotte è lucente la vulva pulsante del mondo la fica la fregna involucro sacro – matrice stanotte si placa il lamento di upupa e croci si posa anche il vento non giaccio stanotte il mistero m’infiora | Lilith Le suore ci dicevano di un demone che aspettava nello specchio con il rossetto in mano che delizia quel sorriso perturbante in risposta alla mia mano inquieta le suore raccontavano di un tempo senza inizio in cui l’ipotesi suprema era l’unica costante con gesto tollerante rispondevano le suore alla mia obiezione che un sempre è anagoge pallida e distante che spazio e tempo hanno inizio e fine a mezzogiorno e trenta le suore spartivano la pasta con il sugo esangue piccole farfalle molli in rovinosi cumuli quelle sì costanti poi battevano le mani le sorelle compiaciute al pentolone vuoto io invece il vuoto lo sentivo nella pancia blindato dalla malta di colpa primordiale benedetta sia la prima grande indomita ribelle la dea delle due lune il primo luminoso NO e quanta sete nel morso della mela quanta fame oltre le preghiere assolutive da mandare a mente assolver non si può chi non si pente * chissà se il lago azzurro e placido negli occhi della Madre Superiora nascondeva nella carne dubbio fertile d’aratro. *Dante, Divina Commedia – If, XXVII 118 |
Fallomachia Ricomincia ogni mattina la battaglia col tuo cazzo predatore che batte e spinge sulla schiena e reclama udienza (mentre io soffro il mal di mare) Uomo! La tua voce eiacula violenza Devo trovare un posto tutto mio di cui conosco gli angoli e la polvere, dove essere acqua nel bicchiere, lenzuola a fiori sul letto dell’amore Avrei bisogno di un portale al vento di ascesa spazio-tempo di un fiore non reciso |
Lucilla Trapazzo è nata a Cassino. Dopo la laurea in Lingua e Letteratura Tedesca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, un MA in “Film & Video” presso la “American University” di Washington D.C., e una continua formazione teatrale e artistica, lavora come attrice, performer, critica, regista teatrale e formatrice. Le sue poesie e i suoi racconti sono stati più volte premiati (Premio S.Bernardino, Stimigliano; Concorso “Apriamo un Varco” Roma; Premio Nazionale “Il Delfino”, Pisa; Premio Viareggio; Napoli, Isolimpiadi) e pubblicati in antologie, riviste e libri d’arte in Italia, America, Spagna, Macedonia.
Foto di copertina: Bruno Habran da Pixabay