Lucy saluta così il “suo” pubblico, e la storia stessa, quella con la S maiuscola: dalle scale mobili dell’aeroporto, sulle note di una canzone del cabaret, in una versione migliore di se stessa.
Termina così Essere Lucy (2011), il documentario di Gabriella Romano – proiettato il 28 maggio – in esclusiva per Associazione ARC a Cagliari in occasione degli eventi della lunga kermesse di Queeresima che terminerà il 24 giugno con il Pride nel capoluogo sardo. La serata è stata organizzata da Non Una di Meno Cagliari e Laboratorio28.
La pellicola di Gabriela Romano, presente durante la proiezione, racconta gli anni dell’apprendistato da essere umano di Lucy Salani, nata come Luciano Salani, attivista italiana, nota come l’unica donna transgender italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti e deceduta quest’anno nel mese di marzo.
La storia di Lucy
Le pellicola, partendo dal viaggio della Salani verso Dachau, in cui fu internata, narra il percorso di formazione che va oltre l’esperienza drammatica del Lager e mostra una personalità irrequieta, non solo fisicamente ma anche intellettualmente, la cui cifra stilistica è riassunta dalla propensione alla curiosità e alla trasformazione. Lucy non si ferma, non si sottrae al cambiamento e alla comunicazione con gli altri.
Prima rifiutato dai fratelli e dal padre, poi disertore e fuggitivo e infine internato come dissidente politico, la storia di Lucy Salani attraversa gli anni più drammatici del nostro paese e passa attraverso la repressione sessuale degli anni cinquanta per arrivare agli anni ottanta e novanta in cui riesce a ricostruire una quotidianità fatta di lavoro, amicizie e amori a volte fugaci e a volte duraturi. Ballerina e circense en travesti in Sardegna e nel Lazio, prostituta a Bologna e tappezziere a Torino. Visse i cabaret francesi e la Londra liberale in cui si sottopose a un’operazione per la riattribuzione del sesso.
La sua storia, il raccontarla agli altri, permette a Lucy di evolversi. Perché Lucy si nutre del rapporto interpersonale e, grazie allo scambio con gli altri, si evolve e cresce, prendendo consapevolezza di se stessa. Consapevolezza che non aveva – prima oppressa dal regime fascista liberticida e poi dalla bigotta Italia del dopo guerra – e che acquisisce con il tempo. Lucy vive la liminarità della sua condizione non come una condanna o un esilio, ma come un dato assodato al quale reagire, con il quale convivere per vivere con spontaneità e creatività.
Se è vero che donne si diventa (è così del resto anche uomini), è anche vero che per Lucy vale l’assunto più alto, quello secondo il quale “Lucy si diviene” così come ognuno di noi diventa se stesso, unico e diverso da tutti gli altri, dopo un percorso di vita inestimabile e formativo.
Il dibattito
Il dibattito con la regista del documentario, Gabriella Romano, ha visto un pubblico coinvolto in cui sono emersi i numerosi problemi che un documentarista deve affrontare nel Belpaese fra monopolio delle fonti storiche e della TV generalista.
La regista e scrittrice, studiosa della storia degli omosessuali nel Ventennio (e nel dopoguerra), è autrice di numerosi volumi come Il mio nome è Lucy L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale (Donzelli), Il caso di G. La patologizzazione dell’omosessualità nell’Italia fascista (Edizioni ETS), Baci Rubati. amori omosessuali nell’Italia di Mussolini (Dvd+Libro con Fabrizio Laurenti, Istituto Luce. In programmazione sempre a Cagliari per gli eventi della Queeresima 2023) e I_sole. Così ha inizio la vita. Da una mancanza (con la prefazione di Dacia Maraini, Cooper).
Appassionante e controversa la rappresentazione della difficoltà comunicativa fra vecchie e nuove generazioni LGBTQI+. Portatrici, queste ultime, di una narrazione della lotta per diritti “affetta da eroicità” che tende ad escludere dalla rappresentazione omosessuale le piccole storie di resilienza e vita quotidiana che hanno segnato il vissuto delle generazioni pre belliche. Esistenze in fuga che hanno affermato una identità che ora le nuove generazioni sono chiamate a difendere.