Nell’infanzia di ciascuno di noi esiste una stanza appartata o un angolo privilegiato dal quale osserviamo indisturbati le persone, le voci e gli oggetti che ci circondando e che si muovono attorno alla nostra crescita e spesso la determinano. Siamo piccoli e con grandi occhi di gufo, e da quello spazio privilegiato di bambini guardiamo la realtà dei grandi con curiosità e spirito critico.
Su questo sguardo si basa Diamanti, l’ultimo film di Ferzan Özpetek: un bambino che, al seguito di una madre sfortunata e coraggiosa, in balia degli eventi della vita, si adatta ad un’esistenza nella stanza dei bottoni di una grande sartoria romana. Osserva in solitudine (come se lui fosse Salvatore in Nuovo Cinema Paradiso, e come se il cinema fosse la vita) , alleggerito dalla presenza di una cuoca – un po’ fata madrina – che gli regala biscotti, abbracci e piccoli regali (Silvana, interpretata da Mara Venier), una umanità al femminile (ma non solo) con sguardo impietoso e pieno di amore. E quell’universo lo dettaglia nei ricordi e lo ritrova intatto nelle magnifiche presenze di ambienti ormai vuoti che lo aiutano a raccontare con il sorriso e una punta di malinconia.
Il potere delle parole di un copione cinematografico, durante una prima lettura di gruppo da parte del cast, alla presenza del regista, fa scaturire l’immenso potere della narrazione cinematografica e riporta in vita un mondo di donne degli anni Settanta.
Diamanti, che si compone di un cast corale e di tutto rispetto, si caratterizza per una regia e una fotografia dal raffinato sapore televisivo elevando il colore e il sentimento a cifra stilistica eccellente (senza mai essere banale). La pellicola racconta le vicissitudini di un microcosmo femminile fra violenze domestiche (quella di Nicoletta, interpretata da Milena Mancini), amori sfuggiti e svaniti, illusioni, famiglie (al plurale, sempre per Özpetek) e passione per il lavoro. In mezzo stanno le tensioni, gli incontri e una ridda di dialoghi vivaci e duetti vibranti (lo scontro fra le sorelle Canova, fatto di urto fisico e disincanto dal lutto negato, rientra fra le scene più belle del cinema italiano).
A reggere il film le scene iconiche alla Özpetek (con le canzoni e i sipari di gioia), le scintille fra le sorelle Canova, impersonante da Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, la brillante presenza di Cucciari e Signoris e la tragicomica eroina di Paola Minaccioni (Nina) alle prese con un figlio adolescente e con il suo fatale incontro con se stesso.
La fotografia di Gian Filippo Corticelli è così bella, dettagliata e vibrante, Campy e lussureggiante, da scuotere pesanti elaborazioni: i lutti, gli affetti passati e le speranze. Una gioia per gli occhi, un nutrimento.