Bimba Bosé era uno di quei personaggi che ti faceva sentire bene solo per il fatto di sapere della sua esistenza: bella, androgina, anticonformista e coraggiosa. Sapere che in giro, fra mediocrità esasperanti, fra i gattini e gli “amen” dei social, esistesse tale creatura irripetibile, ai miei occhi era un po’ come la certezza che in fondo qualche speranza rimanesse.
Speranza in cosa? Nel fatto che al caro – peloso – buon senso borghese, sopravvivesse (e spero sopravviva) la possibilità di essere qualcosa, o qualcuno, a prescindere dalle classificazioni, dalle etichette e dalle regole dei giochi che altri spesso ci fanno giocare. La speranza che il mondo capisca la bellezza di non essere tutti uguali. Ha giocato con i ruoli sociali, con quelli artistici e con il corpo, ponendolo sotto i riflettori, dalle pagine di Vein Magazine, anche dopo la mastectomia affrontata a causa del male che aveva poi raggiunto le sue ossa.
Nipote di Lucia e famosa in Italia per il suo duetto con Miguel (Como un lobo), ha posato per gli obiettivi fotografici di Steven Meisel e Mario Testino, scalato le vette di Vogue e Harper’s Bazaar, quasi vinto il talent Levántate All Stars (aveva collaborato con il gruppo The Cabriolets) e partecipato a pellicole come Julieta di Almodovar e El consul de Sodoma di Monleon.
Diceva di se stessa di essere una donna in perenne costruzione e sosteneva che l’amore, in quanto tale, non aveva limite di sessualità, di pene o vagina. Il suo unico punto fermo era il cambiamento.
In ultimo solo la malattia le ha rubato la scena. Si è però già ripresa i riflettori, facendoci capire come si possa vincere sulle cicatrici.
By Matteo Tuveri
Immagine di copertina: “Andrea maquillando a Bimba Bosé”, Author Ester1213, License: CC-BY-SA-3.0 (Fonte: Wikipedia)