È come un mediatore linguistico, come una notte piena di stelle o un odore familiare che, ovunque tu sia, ti restituisce l’abbraccio di chi è lontano o purtroppo non c’è più. È il ricordo delle infinite serate dell’infanzia, delle torte di compleanno comprate in fretta e furia per rientrare e vederne lo sguardo. È il cane.
Se fosse una forma sarebbe quella rotonda e perfetta della luna, se fosse una sensazione il dorso di una conchiglia restituita dal mare dopo cento anni: perfetta, liscia, recante l’eco di battaglie, eserciti, amori smarriti e ritrovati, piccole case sul porto colorate di bianco e di azzurro. Versi musicali di una Saffo con i piedi sull’arenile color senape.
È il cane, quello che ti sveglia se deve uscire, che ti scalda i piedi quando in modo del tutto premeditato si ritrova su di te nella serata più fredda dell’inverno; che ti rallegra quando c’è il vuoto attorno o ti restituisce le chiavi del giardino segreto dell’ottimismo. Trascendente, ti riporta sulla terra con il tartufo freddo, quando gira la testa ti investe con uno sguardo aperto di chi sa che tutto sommato, alla fine, c’è sempre un tramonto: bisogna solo cercare di viverlo bene.
Ha i suoi difetti, a volte abbaia, qualche pelo certamente lo perde, quando beve fa rumore di Oktoberfest e spesso fissa il vuoto come se sulla soglia del tuo castello sentisse le capre che portano il carro di Thor. È possente anche se piccolo, dolce anche se dotato di lunghi denti, impaziente, opportunista quel tanto che basta a farti capire che in fondo è una brava persona.
È una piccola cosa assai grande che sosta sempre in un cono di luce. Mai indifferente, perché a quello ci pensa già abbastanza il resto.
By Matteo Tuveri
Illustrazione di Minù© per www.mockupmagazine.it
Questo era il cane, ma c’è anche il gatto (qui)