Spesso qualche giornalista, o qualcuno presente alle serate dedicate ai miei libri, mi chiede quanto Umberto Eco abbia influito su di me (la domanda riguarda anche altri scrittori, ovviamente). Su questo punto lascio tutti sempre abbastanza insoddisfatti, perché, essendo un abbozzo di Zirkusartist (“artista da circo”, termine coniato da Heinrich Heine), ho fatto sempre della “citazione” il mio cavallo di battaglia, in modo da essere sempre in ritardo su tutto – in letteratura si intende – è sempre primo in rielaborazione. Pesco, trovo, scovo, reinterpreto, rielaboro e riscrivo gli spunti, le impressioni, gli accenti e le sfumature di un immenso angolo di mondo che è quello della letteratura. In un patrimonio narrativo così bello come quello europeo, essere “in ritardo”, ultimo, è un privilegio che volentieri mi prendo, per assaporare la vastità di ciò che persone come il Prof. Eco hanno già prodotto.
Anche Umberto Eco aveva una certa attitudine per la citazione e il ritardo. Per esempio, di lui ho amato quella passione per essere in ritardo sulle mode, sulla simpatia indotta, sull’occhiolino all’opinione pubblica. Mai vivere per essere simpatico a qualcuno. Da allora coltivo ogni giorno la mia capacità di non piacere, la mia antipatia, spesso dicendo le cose come stanno, altrettanto spesso cercando di dirle “bene”, dalla giusta angolatura, con grande rispetto per le parole scelte, gli aggettivi, i verbi e le virgole. La vanità di sapersi mai comodamente seduto nelle poltrone che qualcuno gli aveva sistemato davanti, questa è una sfida che mi sento di dover accettare da Eco (senza riuscirci, ovviamente).
Con Umberto Eco ho sempre avuto un doppio rapporto, qualcosa che mi ha portato lontano dall’essere un suo accanito lettore e che, a sua volta, mi ha condotto sul ciglio del baratro narrativo che ha spinto molte persone, come dicevo all’inizio, a dubitare che ne fossi stato influenzato.
In realtà non essere influenzati da un maestro della letteratura come lui, appartenente a quello scarno gruppo di autori davvero europei e mondiali, sarebbe come dire che non si respiri l’ossigeno.
Gli autori come Eco sono nell’aria, incarnano una società, un mondo, un immenso immaginario comune fatto di storie, espressioni, meccanismi mentali e sfumature. Essi, e Umberto Eco lo è appieno, sono in realtà ormai lungi da essere solo persone, sono bensì luoghi di incontro in cui vivere la cultura e la letteratura.
Volenti o nolenti, proprio come l’aria, inaliamo sempre un po’ di loro ogni giorno. Senza questo luogo di incontro rimaniamo unici naufraghi su una nave deserta (perdonate la parafrasi di una sua opera), in balia di corpi che non lanciano ombre abbastanza lunghe, di nani e orsi ammaestrati, mani troppo piccole per scrivere testi che possano avere dimensioni abbastanza grandi.
By Matteo Tuveri