Milf, gonzo, amateur, kinky sono solo alcune delle categorie, etichette e appartenenze che, chiunque si avventuri sulle piattaforme online del porno, come YouPorn e Pornhub, trova diffuse per caratterizzare, aggregare o pubblicizzare le diverse produzioni (professionali o amatoriali). Su tali etichette, e su molte altre, clicca chiunque voglia entrare nel mondo del porno, terra di eterno confine spesso tacciata di oscenità e altrettanto spesso giudicata con superficialità, anche da chi ne fruisce quotidianamente e la rinnega in pubblico.
Ma se siamo fatti, secondo Shakespeare, della stessa sostanza dei sogni, anche il porno, in quanto creatura tutta umana, partecipa un po’ di questa natura? E se cosi fosse, se volessimo scomporre questo universo composito, quali altri elementi troveremo al suo interno? Ma di cosa è fatto il porno? Claudia Ska, origini sarde con trascorsi nel Regno Unito, a Roma e Milano, ha esplorato senza sovrastrutture l’industria della pornografia (mainstream e indipendente), mettendo al centro della sua ricerca il corpo e gli immaginari che lo riguardano (o che spesso lo imbrigliano). Nel suo viaggio nel porno, intitolato “Sul porno. Corpi e scenari della pornografia” (Villaggio Maori, 2021), l’autrice ha cercato di diradare le nebbie delle categorie e degli acronimi che declinano in modo pratico, e spesso sbrigativo, le immense pieghe del desiderio e dell’atto sessuale.
Fra produzioni cinematografiche (dotate di attrezzati uffici stampa, promozione web, profilazione di utenti, esperti writer e preparati uffici legali), e set amatoriali, si sviluppano infiniti percorsi di pellicole indipendenti guidate dalla gioia del sesso e da un’arte, che come tutte le arti ha i suoi stilemi e i suoi drammi. E poi, ancora, Claudia Ska tira in ballo, con una penna semplice e accattivante, concetti come l’autodeterminazione, il sexworking, figure come quelle dei lavoratori e delle lavoratrici del porno e luoghi di marketing e confronto come i festival sulla pornografia. E dopo questo viaggio, più che dare una risposta univoca – che sarebbe quantomeno impossibile fornire – pone al lettore domande ben precise, sia etiche, sia meramente economiche: possiamo considerare ancora osceno il porno, oppure è parte imprescindibile del nostro desiderio, capace di dare vita a un vero e proprio mercato (come quello della moda, del cibo o del turismo)?
Il concetto è molto antico e la parola Pornographosi deriva dal greco Pornè (io vendo, prostituta) e dalla parola Graphos (scrivere, disegnare). Il significato è dunque quello di “colui/colei che scrive di prostitute“. Ne parlano Luciano di Samosata (II Secolo D.C) e Ateneo di Naucrati (ne I deipnosofisti o I dotti a banchetto, III Sec. D.C.), mentre nel 1769 Restif de la Bretonne stila un piano giuridico di legalizzazione della prostituzione sul modello della legislazione introdotta dall’imperatore Giuseppe II (Pornographe). Dal 1800 la parola porno diventa un prefissoide e passa, messo prima di alcune parole, a designare qualunque scritto o disegno osceno. In senso lato la parola porno (o “porn” in inglese) viene spesso declinata nella sua sfumatura di “esagerato” e “osceno”, una sorta di esagerazione di qualsiasi cosa. Una sfrenatezza che può essere abbinata al cibo (food porn), al gossip, alla ricchezza o anche ad altri ambiti. Ho chiesto a Claudia Ska:
Che differenza c’è fra porno (sessualmente e propriamente inteso) e porno della guerra che viviamo tutti i giorni sui media (tradizionali e non)?
Nel libro c’è un parte dedicata a quelle espressioni come “pornografia del dolore” o “pornografia dei sentimenti”. Come dici tu, Porno nel tempo è diventato qualcosa che esula dal porno in senso stretto per rappresentare qualcosa di esposto, esibito ed esagerato, anche provocatorio. Personalmente non mi piace questa commistione ma mi rendo anche conto che la lingua cambia senza sosta (non potrebbe essere altrimenti) e che determinati elementi vengono assorbiti dalla cultura, rimasticati, espulsi e rimescolati ancora, all’infinito.
Dal mio punto di vista la differenza fra il Porno – che tu definisci sessuale – e nel modo di comunicare la Guerra (il porno della guerra, per l’appunto) sta nel fatto che, mentre il primo è paradossalmente più problematico per l’autorità, perché si riferisce al desiderio, al piacere, alla carnalità, all’oscenità, ossia a qualcosa che dovrebbe essere oscurato (come del resto viene ampiamente fatto, con tutte le contraddizioni che emergono), il secondo è invece esposto senza remore, come un monito.
Non so se tale ossessione per la sofferenza, il dolore, il senso di colpa e l’idea di redenzione sia un retaggio cristiano (come l’esposizione del corpo di Cristo martoriato e crocifisso), ma ci vedo un meccanismo legato a incutere terrore più che informare. Lo vedrei come informazione se mi facessero vedere anche il porno altrettanto apertamente. Perché possiamo, adultə e bambinə, vedere in prima serata, a cena, o in qualunque altro orario, immagini di guerra e di orrore, mortə ammazzatə, ma non possiamo vedere persone che fanno sesso? Qual è il confine di questa oscenità? Chi lo definisce e perché? La mia risposta, parziale, è che con la paura siamo persone più manipolabili e controllabili, libere siamo invece mine vaganti. La mia non è una deriva complottista, lungi da me, ma si sa che l’autorità ha bisogno di imporsi per sancire il proprio potere e il modo che reputa più efficace è la paura, a vari livelli a seconda della tipologia di governo, ma la musica non cambia.
Da Ateneo di Naucrati sono passati secoli, è nata l’industria del porno, e alcune pornostar, come Cicciolina (citando un nome a caso, anche per personale predilezione di chi scrive ndr.), sono diventate vere e proprie icone Pop e televisive (simbolo della rivoluzione degli anni Settanta e Ottanta). Il porno mainstream imperversa, quello handmade prepara la rivincita e tutti e due riscuotono sempre grande interesse e formale vituperio (ma solo formale, a quanto pare). Dal sito Agit Porn, movimento che intende “eccitare gli animi con idee o saperi nuovi, altri, collocandosi nel dibattito su pornografia, erotismo, sessualità, autodeterminazione, femminismo, censura, corpi, studi di genere“, l’autrice del volume si chiede: “Il porno è osceno e l’oscenità ci consente di guardare dentro di noi, le nostre pulsioni più recondite e misteriose, non ci racconta qualcosa che ha unicamente a che fare coi nostri desideri sessuali, ma su di noi come esseri umani.“
Un piccolo e succoso volume, forse a volte troppo frettoloso (come alcune amplessi, si sa), che mancava nello scaffale di chi scrive. Porno chi legge!