Fra pescatori e pescatrici di ogni sorta, vite perfette e trilogie più o meno kinselliane, Mr Grey e gialli, spuntano nella libreria – e nella borsa del mare – i libri di Francesco Muzzopappa. Ne ho preso uno a caso e l’ho letto con grande soddisfazione. La sua ironia non è mai a perdere, nasconde sempre una citazione della realtà circostante, urbana, televisiva o colta in senso stretto non importa, e mantiene quel quid di paradossale che ricorda Christopher Moore o, se vogliamo, anche una Littizzetto radiofonica.
Il libro è Heidi (il quarto dell’autore), edito da Fazi Editore, e racconta la storia di Chiara, trentacinquenne milanese, direttrice di casting alle prese con il suo asfissiante ambiente di lavoro, con l’ombra della disoccupazione e una vocazione per le situazioni complicate. Ci vuole poco al giorno d’oggi per non essere conformi, lei è una di quelle persone: donna che non ha alcuna vocazione per la maternità, che non ha la “fregola per la marcia nuziale” (“alla mia età – dichiara il personaggio – “più che al matrimonio bisognerebbe pensare al divorzio”), portata per carattere – e lavoro – a non lasciarsi sfuggire i dettagli, assegna a tutte le persone un nome, non ricordandone quello vero, e ne descrive, nel suo diario immaginario, le caratteristiche e le sfumature.
Le sue lunghe giornate di lavoro, passate a dirigere le selezioni per più o meno importanti trasmissioni televisive (espressione dell’intelligenza dilagante nel Belpaese), la portano a descrivere personaggi bizzarri ai quali oggi siamo forse drammaticamente abituati: Andy Sonora, il ventriloquo del sedere; Ben Alì, il fachiro mangiachiodi, e via dicendo (non li voglio svelare tutti). Altri ancora piovono nella sua vita, come Lo Yeti, il capoufficio bauscia con la camicia “ferocemente inamidata” e “famoso per aver portato al fallimento tutte le aziende di cui si è occupato” (con il quale, peraltro, penso di aver lavorato anche io n.d.r.); e Ivanka, algida ammaestratrice tutta rifatta che ha “due Lindor al posto degli zigomi” nonchè direttrice della clinica privata da cui suo padre, affetto da demenza selettiva, viene espulso per comportamento turbolento.
Al centro del palcoscenico un padre ormai svanito, che non ricorda più il suo nome e che la confonde per la Heidi della serie animata diretta da Isao Takahata e disegnata da Hayao Miyazaki: scambia il suo badante per Peter, cerca sempre Bianchina e si preoccupa per il cane del quartiere in cui vede un Nebbia piuttosto dimagrito. La protagonista di Muzzopappa è forse un po’ troppo maschile per essere una vera donna dei nostri giorni, certe situazioni sono forse un po’ troppo estreme anche per questa Italia che declina (verso cosa fate voi!) ma l’eloquio è accattivante.
Quando la vita di Chiara sembra scivolare inesorabilmente nelle nuance accese dell’Inferno, irrompe sempre “il Grande Dio della Calma” che la invita a serrare gli occhi e a “ripetere lentamente l’ultimo vaffanculo lasciando andare la rabbia”. La nostra eroina si salverà sempre così, con l’aiuto della sua proverbiale capacità di arrivare in ritardo, anche di salvarsi in ritardo, e con l’intervento della sua stramba e allargata famiglia.
By Matteo Tuveri