Il termine ha una radice che ricorda l’autoreferenzialità, la sua storia è breve e le tecniche sono invece ormai tantissime. Si scrive “Selfie”, si legge all’inglese e ha ormai contro uno studio U.S.A che lo ha dichiarato disturbo comportamentale . Ricorda l’ autoritratto (e un po’ la masturbazione narcisistica ) ma, a causa della tecnologia digitale, se ne producono in grande quantità. Raffaello e Parmigianino ne avrebbero senza dubbio apprezzato le potenzialità.
È un modo di fotografarsi, ed è considerata una delle caratteristiche peculiari dei cosiddetti Millenials o Echo boomers , per intenderci i nati dagli anni Ottanta, per essere più chiari quelli che la pensione non la vedranno nemmeno in foto (tanto per rimanere in tema). Tuttavia la “malattia” del Selfie ha avuto grande successo anche presso i più adulti: è spesso utilizzato dalle MILF, dai FILF, da qualche capo di religione in crisi di popolarità, dai giovani cantanti in cerca di quest’ultima e dagli amici attorno a una birra. Il “selfie col morto” è l’ultima frontiera della religione made in social (malgrado il defunto si intende).
Nel 2010 l’Iphone 4, con l’introduzione della fotocamera frontale, ne ha divulgato la pratica, fino al punto che nel 2013 il Museum of Modern Art ha patrocinato a New York la mostra Art in Translation: Selfie, The 20/20 Experience . Il termine, scritto “Selfie”, sembra essere stato coniato in Australia nel 2002, mentre se ne registrava una versione differente (“Selfy”) in altre parti del mondo. L’ Oxford English Dictionary lo ha codificato nel 2013 come «Una fotografia di sé stessi, tipicamente ripresa con uno smartphone o una webcam e caricata su un social network», l’anno dopo ha fatto la stessa cosa il vocabolario Zanichelli.
Ad utilizzarlo in tanti, soprattutto personaggi pubblici che con esso diffondono di sé stessi un’immagine giovane e sportiva: Barack Obama , la danese Helle Thorning-Schmidt e David Cameron se ne scattarono uno nel 2013, in occasione del funerale di Nelson Mandela, Ellen DeGeneres ne scattò uno alla serata degli Academy Award 2014, Barbara D’Urso, star della comunicazione televisiva italiana, ne pubblica un paio al giorno, accompagnati da numerosi hashtag, mentre la rete ne è letteralmente invasa.
Con il Selfie le tecniche migliori , come insegnano Belen e Kim, sono quelle di impugnare il telefono dall’alto, inquadrando il viso e le labbra protese (si chiama “duck face” ), proprio come suggerito da Jacqueline Voorhees alla protagonista della serie Netflix “Unbreakable Kimmy Schmidt”. L’altra posa è quella che prevede le labbra un po’ aperte, denominata “fish grape” , che a quanto pare porterebbe giovamento agli zigomi.
In entambi i casi le rughe del collo e del viso dovrebbero scomparire anche senza usare PicsArt (comunque un filtro è sempre suggerito ). L’altra tecnica è un po’ più elaborata, privilegia i selfie di gruppo, e prevede lo scatto dal basso, dando un effetto “mischia chiusa” del rugby. Spesso per praticarlo si utilizza un bastone telescopico, chiamato non a caso “Selfie stick”, che permette di fare lo scatto da una distanza maggiore ottenendo un effetto “il paparazzo mi ha beccato”. Per le donne, ricordate che un look acerbo, con un make-up non make-up , darà valore al vostro Selfie.
E i politici sovranisti che ne hanno fatto uno strumento di propaganda? Meglio non parlarne: l’articolo non tratta di etologia.
I più fantasiosi e piccanti li usano anche per il sesso virtuale, con gli amanti lontani o quelli trovati in rete. In quel caso le “panoramiche” sono davvero acrobatiche e ne consigliamo l’uso solo ai più atletici.
By Matteo Tuveri