Il termine deriva dalla parola tatau che in lingua samoana significa “infliggere ferite”, termine onomatopeico che riproduce il rumore prodotto dal legno che batte sull’ago utilizzato per incidere e disegnare la pelle. Nel panorama europeo la parola tattow (poi divenuta in lingua inglese tattoo) compare per la prima volta nel 1769 nelle annotazioni del capitano James Cook che, nel suo viaggio a Tahiti, osserva le usanze locali e scrive notizie in merito alla pratica del tatuaggio. La parola quindi ha origini moderne ma la pratica del disegno sulla pelle ha radici antichissime.
La forma di decorazione del corpo più antica, che però non presenta incisioni sulla pelle, è quella del tatuaggio all’henné. Le primi civiltà delle quali si ha prova che usassero l’hennè includono i Babilonesi, gli Assiri, i Sumeri, i Semiti, gli Ugaritici e i Canaaniti. L’hennè, il cui nome scientifico è Lawsonia inermis (ma è anche comunemente noto come reseda giamaicana, mehndi, ligustro egiziano, o lawsonia liscia) è una pianta tintoria medicinale famosa per le sue natura curativa, i cui pigmenti, ottenuti dall’ essiccazione delle foglie poi tritate per ottenere una polvere verde scuro, venivano utilizzati per le proprietà lenitive e per realizzare tatuaggi temporanei in occasioni di feste sacre.
Per quanto concerne il tatuaggio permanente, realizzato con tecniche di abrasione della pelle, le origini sono anch’esse antichissime ma più recenti rispetto alle henné. Testimone dell’antica pratica, la mummia Öetzi, rinvenuta nel 1992 nel ghiacciaio del Similaun. Il corpo di Oetzi presentava in varie parti del corpo tatuaggi ottenuta con la tecnica dello sfregamento del carbone su incisioni verticali della pelle. Gli esami RX svolti su di essa, hanno evidenziato che, in corrispondenza dei tatuaggi, il corpo presentava delle degenerazioni ossee: si tratta quindi di tatuaggi terapeutici, praticati per lenire i dolori.
Nell’Antico Egitto il tatuaggio assunse lo scopo di abbellimento del corpo femminile: lo testimoniano pitture funerarie e mummie risalenti a circa 2000 anni fa. Durante l’impero Romano, il tatuaggio venne utilizzato come segno distintivo per condannati a morte, criminali e schiavi. Solo successivamente, influenzati dai Britanni che utilizzavano i segni sul corpo come simbolo di forza e onore, anche i Romani cominciarono a disegnare nella loro pelle marchi di riconoscimento. I primi cristiani erano soliti tatuarsi simboli come la croce per ostentare la loro fede e rimarcare la propria identità spirituale: nel 325 d. C. l’imperatore Costantino, convertitosi al Cristianesimo, vietò la pratica del tatuaggio come testimonianza di fede. Questo fu il primo passo della proibizione, confermata nel 787 da Papa Adriano I che durante il Concilio di Nicea impose tale veto anche con bolle papali al punto che questa pratica scomparve in ogni cronaca del tempo.
Nonostante il divieto, l’abitudine a marchiare il corpo sopravvisse clandestinamente sia tra i ceti meno abbienti, i soldati, le famiglie nobili (i Savoia e il ramo Aosta, legate tradizionalmente al mare o al mondo militare) e nei luoghi di culto. In particolare nel Santuario di Loreto la pratica dei cosiddetti frati marcatori, che incidevano su polsi e mani simboli religiosi e amorosi, è rimasta viva fino al 1950.
L’accezione negativa del tatuaggio si ha definitivamente nel XIX secolo con Cesare Lombroso che nel saggio L’uomo delinquente del 1876, mette in stretta correlazione il tatuaggio con il profilo tipico del criminale, passando in rassegna detenuti, criminali e disertori e fornendo descrizioni in merito ai disegni più utilizzati. Dopo il buio influenzato dalle teorie di Lombroso, il tatuaggio riprende la sua diffusione negli anni 60-70 fino a raggiungere il boom negli anni ’80 con il movimento punk che lo assume come simbolo di ribellione e lotta contro le convenzioni sociali ed arrivare ai giorni nostri.
Al tatuaggio appartengono vari stili, fra i più noti la cosiddetta Old school, caratterizzata da linee nette, utilizzo del nero, nessuna sfumatura (Soggetti: rose, pugnali, cuori sacri, pin up e simboli legati al mare); la New school, che esaspera le caratteristiche dell’old school utilizzando il colore, lo stile Realistico, che contempla tatuaggi che imitano la realtà, dove la sfumatura fa da padrone e il Tribale, caratterizzato dai disegni astratti che si rifanno ai tatuaggi degli indigeni delle isole del Pacifico dei Dayak del Borneo, dei Maori della Nuova Zelanda e dai Nativi Americani. Molto in voga anche lo Stile giapponese, che propone dragoni, fiori di ciliegio, peonie, fiori di loto e crisantemi, maschere demoniache e rappresentazioni delle stampe ottocentesche ukiyo-e; lo Stile biomeccanico, che si ispira ai lavori dell’artista surrealista Hans Ruedi Giger e raffigura creature composte da organi e membra umane amalgamate a parti meccaniche e, infine, il Lettering, un tatuaggio in cui frasi e singole parole prendono il posto dei disegni.
Attualmente aprire uno studio di tatuatore implica non solo grande studio del disegno, ma anche un lungo e costante apprendimento dell’uso degli strumenti e delle reazioni della pelle a tale pratica e ai colori utilizzati. La legge italiana indica precisi standard e regole per l’apertura di uno studio di tatuaggi. La sala di attesa, munita di sterilizzatore uguale a quello di uno studio dentistico, deve essere separata da quella, denominata zona di operazione, in cui si effettuano i tatuaggi. Il pavimento e le pareti devono essere idrorepellenti, lavabili con detergenti disinfettanti e privi di fughe e battiscopa. La documentazione da produrre alla ASL e alle autorità competenti non è diversa da quella di un qualsiasi altro esercizio commerciale o studio per il quale sia previsto un intervento su paziente. Con la differenza che quanto eseguito sulla vostra pelle, se scelto con cura da voi e eseguito con maestria e passione dal vostro tatuatore, saprà darvi ogni giorni della vostra vita la prova di essere esistiti in quel momento, con quelle emozioni e quelle determinate motivazioni.
Tantissimi gli eventi in tutta Italia, e nel mondo, dedicati al tatuaggio. Ne abbiamo trovato una vetrina completa nel sito www.worldtattooevents.co21m
«Mi farà male?». Questa la domanda che farà ognuno di voi che non abbia eseguito un tatuaggio. Il nostro Direttore Creativo ne ha fatto alcuni e assicura che, a parte un normale bruciore, più o meno intenso in base alla necessità di sfumare il colore, una ordinaria puntura è molto peggio. L’ago utilizzato per il tatuaggio, rigorosamente sterile, è lunghissimo perché deve attraversare tutto il piccolo e perfetto macchinario che permetterà al tatuatore di impugnare la macchinetta come fosse una matita avveneristica. Tuttavia state tranquilli, solo una minuscola parte di quel lungo ago opererà sulla vostra pelle e non andrà a fondo. Si limiterà a far penetrare sotto cute il colore per dare forma lentamente al vostro progetto grafico.
La sensazione di avere addosso una tradizione millenaria, unita alle vostre sensazioni o esperienza, farà del vostro tatuaggio il gioiello più prezioso.
By Giulia Marini