The Palace è una mediocre commedia nera a sfondo sociale, ispirata ai lavori di Lubitsch (le commedie di albergo viennesi) e a Rubén Östlund (The triangle of sadness, ben più sofisticato e gradevole di questo Polański sotto Tramadolo) con incursioni nel cinepanettone italiano della Milano da bere tardo berlusconiana e nella commedia circense anni 60 (quella degli animali che girano liberi nella scena e rompono gli spazi e l’unità narrativa).
La fotografia, elementare e chiassosa, indugia nel primissimo piano o nel dettaglio generando un horror vacui non sempre sgradito.
La pellicola di Polański non è però ciò che sembra, una facile commedia diretta da un sociologo incazzato col mondo, e si rivela capace di narrare – a tratti con efficacia e surreale irriverenza splatter – il prequel del lungo periodo di inesorabile decadenza dell’Occidente attraverso personaggi-mostri, deformati e traballanti e con un ritmo – tipico di Lubitsch – che da solo regge l’inconsistenza a volte smaccata di alcuni soggetti e numerose interpretazioni.
Mentre il il 31 dicembre del 1999 Vladimir Putin prende il potere presentato da un annebbiato Yeltsin, una grande struttura alberghiera in una imprecisata Mitteleuropa accoglie i suoi ricchi ospiti: la coppia disarmonica formata da una giovane in cerca di redenzione economica e un vecchio miliardario (Bronwyn James e Teco Celio); la marchesa sola ed eccentrica (Fanny Ardant), l’uomo d’affari abbronzato e deformato (Mickey Rourke), così come alcune ospiti di non recente produzione, da interventi e ritocchi del bisturi. Ad essi si aggiungono un ambasciatore, un attore scaduto (Luca Barbareschi alla sua peggiore interpretazione), una banda di malintenzionati e le loro prezzolate amiche, e un chirurgo estetico accompagnato dalla madre malata (Joaquim de Almeida).
In mezzo alla tragicomica banda di spostati di rango, il personale dell’albergo, guidato dall’iperattivo Hansueli (Oliver Masucci), assiste, partecipa, giudica e spesso limita gli effetti disastrosi di una società corrotta ed egoista. Ed è proprio all’attore di Dark che tocca il ruolo di redimere la pellicola, creando un collante fra le storie ed elevando un lavoro che non sembra dotato di una regia capace di valorizzare – pur nella leggerezza – il materiale a disposizione.