L’incontro con Michela Murgia è imprenscindibile quando nasci come narratore di storie e di realtà: prima per i suoi lavori letterari, poi per il suo percorso intellettuale e politico. Un punto di riferimento, non sempre per assonanza, qualche volta per disaccordo, spesso per dissonanza, qualche volta, e in ultimo capitava spesso, per accordo. Michela non era solo i suoi romanzi, non era solo le sue posizioni in ambito sociale, comunitario e politico (nel senso di polis, concetto a volte drammaticamente assente nella politica dei partiti), ma era spunto, dialettica oppositiva, idea e gomitolo di incontri, scontri e battaglie (spesso a sua insaputa, altrettanto spesso cercati). Era le parole per immaginare il mondo, lo sprone perché ciascuno trovasse le sue e gli desse vita con i soli aggettivi giusti: i propri.
Quello che colpiva non era la continua tensione a voler essere amata a qualsiasi prezzo, sintonizzata con gli altri a tutti i costi; ma quel vento di maestrale che la portava prepotente a essere se stessa qualsiasi cosa, evento o individuo avesse davanti nel mare che si trovava ad attraversare.
Michela Murgia non acchiappava like e consensi, ma esprimeva se stessa in un continuo scoppiettare scintille di idee, sprazzi di vita, esperienza e identità.
Molto presto ho iniziato a capire che questo era semplicemente l’unico modo di essere se stessa, di crearsi ed evolvere, costantemente in contatto con quel ventre molle e sensibile che la contraddistingue (e che ognuno di noi ha), senza tradirsi mai e senza mai morire davanti al confronto, alla vita e alle difficoltà.
L’ultima volta che l’ho incontrata eravamo al Pride, a Cagliari, ed io – che sono nato ad Oristano – le dissi “ecco la mia crabarissa preferita”. Dopo una battuta – tagliente – una foto nella gioia più totale. Arcobaleno, pioniera e sveglia puntuale su cose, aspetti e questioni in cui orientarsi esige tanto cervello e tanto cuore. Era libertà pura.
Ed è con una gioia un po’ disincantata che penso a lei, anche quando mi capita di immaginarla (infastidito) che non esiste più. Polemico con questa realtà che ce ne priva ma che non la vede assente bensì ancora necessaria.