Ogni manifestazione sportiva di una certa importanza – primi fra tutti i giochi olimpici – è non solo la fonte di ogni sorta di truffa e corruzione (culturali, ideologiche, economiche, sportive), ma anche di un’attenzione maggiore ai diritti dei cittadini (divieto d’uso dei mezzi di comunicazione, controlli, pericoli per l’ambiente, sottomissione forzata alla ideologia sportiva con le sue logiche conseguenze, ecc ). In questo contesto, protestare contro la sua celebrazione è così poco razionale quanto incolpare la pioggia di bagnare una e non un’altra città. E non solo: cosi come succede per «le spese di Natale» che hanno inizio ogni anno prima, fino ad estendere a tutto l’anno un’atmosfera natalizia, bisogna anche prolungare il periodo di marketing olimpico anche fuori del periodo in cui si svolge questa splendida festa sportiva – le proteste contribuiscono magnificamente a tutto ciò (tra le tante immagini quelle dei manifestanti vestiti «made in China» con bandiere cinesi, tibetane e altre bandiere «made in China», che scendono sopra una sportiva disabile «made in China»). L’impero commerciale del Dalaï Lama, i mercanti cinesi e la mafia sportiva si fregano le mani.
Quello che oggi viene chiamato eufemisticamente sport appartiene (insieme con la musica pop e quella che viene chiamata in modo improprio arte visiva, allo stesso modo della politica degli stati-nazione, la pubblicità, i mezzi di comunicazione sia di massa che individuali, in tutte le loro forme) alle attività classificate come «show-business». Il loro tratto comune è il fatto di essere alla moda, impegnati, e soprattutto «politicamente corretti»; la qual cosa garantisce un massimo di audience e dunque di alti profitti. Gli alti profitti non hanno senso di per sé, essi servono a mantenere il mondo in cammino.
Si organizzano così grandissimi concerti per o contro quel tale fenomeno (contro la fame, per la libertà e i diritti umani), l’etichetta del caritatevole e dell’impegno permette di massimizzare i profitti (che derivano dai diritti di trasmissione, ché nessuna televisione rifiuta musica pop impegnata in ragione della forte audience garantita ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso una icona priva di tutto tranne che di ideologia), gli eventi sportivi sono le feste della comprensione tra i popoli (di quelli che guadagnano appena per comprarsi un televisore a rate), e gli artisti esprimono valori che sono universalmente comprensibili (allo stesso modo di quando si distruggono monumenti che mal si comprendono e si mettono al loro posto monumenti molto più comprensibili).
L’assenza di razionalità è la conseguenza di una civiltà basata sulla razionalità. I diritti dell’uomo nel 21° secolo hanno perso del tutto la dimensione individuale e sono diventati uno strumento di showbusiness, che limita i diritti dei cittadini o dei non-cittadini o addirittura li nega del tutto. Essere alla moda, impegnato, «politicamente corretto», significa essere comprensibile nel senso che non fingo, comprendo. L’incomprensione è il presupposto per la comprensione di questo mondo, in cui l’assenza di esperienze personali fa di qualsiasi considerazione un pensiero alla moda; la moda è l’ultima guida per orientarsi in questo mondo. Questo mondo è uno stadio di calcio, uno stadio olimpico o per concerti, nel quale i protagonisti danno attraverso i loro rituali un senso al mondo.
Testo di Antonín Kosík