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Ore 12:00 – Esco da lavoro. Un sms di mia mamma: Hebdo. Charlie Hebdo è stato attaccato. Stupore. La chiamo, mi conferma. Dodici morti sotto raffiche di kalashnikov. Per ora non si sa di più.
Ore 14:00 – A casa ho letto tutte le informazioni disponibili su internet e guardato la televisione: sì, dodici morti, due poliziotti e dieci giornalisti. Fra questi Cabu, Charb, Wolinski, Tignous e Bernard Maris. Persone che leggo da quasi vent’anni ogni mercoledì, con le quali rido e mi indigno, loro e i loro colleghi. Persone che instancabilmente denunciano gli imbrogli politici e i nuovi fascismi. Persone che sono sempre in lotta per una stampa più libera, non per i venditori di pubblicità visto che rappresentano l’unico giornale francese senza pubblicità. Persone che sono contro tutte le religioni e contro le loro numerose derive fanatiche. Che hanno avuto il coraggio di pubblicare le caricature di Maometto e di sopportarne le conseguenze da ogni direzione arrivassero, la defezione della Sinistra che si piega davanti alle istituzione religiose. Ecco, l’oscurantismo ha vinto. Dodici uomini morti perchè dieci di loro si sono fatti beffe del fanatismo musulmano, hanno osato ridere invece di chinare il capo e di accettare la volontà cieca di un pugno di uomini che vogliono imporre il loro punto di vista, che non accettano la pluralità d’opinione e credenze, che prendono tutto sul serio, che odiano la gioia di vivere.
Sensazione di aver perso una parte della mia famiglia. Una famiglia che non si vede perchè magari vive lontano da casa, ma un famiglia dalla quale arrivano regolarmente notizie, con la quale è piacevole mangiare e parlare di tutto e di più.
Dalle ore 14:00 alle 17:00 – Piango. Piango a causa dello shock, per le vittime, per l’eclissi della libertà d’espressione.
Ore 17:15 – Lascio la mia casa, una piccola cittadina a sud di Parigi. «Su ordine della Questura la stazione Richard Leenoir è chiusa». Il segno che è stato un attacco: la Metro bloccata. Silenzio di tomba sul vagone.
Ore 18:15 – Arrivo a Place de la République. Ci metto un quarto d’ora per uscire dalla Metro perchè la folla è compatta. Per una volta senza fretta, senza nervosismo. La gente parla a voce bassa o rimane in silenzio. Gli occhi luccicano a causa del dolore che sono costretti a contenere. Ora sono fuori, mi muovo defilata fra la folla. Molta gente con i cartelli «Je suis Charlie» e naturalmente riproduzioni di alcune vignette. Quella di Cabu con Maometto che tiene la testa fra le mani e dice «è dura essere amati dai coglioni», sottotitolo «Maometto sopraffatto dai fondamentalisti». Una vignetta di Luz raffigura un Imam che bacia sulla bocca un giornalista di Charlie Hebdo, con il titolo L’amore è più forte dell’odio. Qualcuno fra la folla ha alcune candele accese. Qualcuno rose bianche. Molta gente, moltissima gente con le penne in mano. Alcuni slogan recitano «Siamo tutti Charlie!», «Libertà d’espressione!», «Libertà di usare le matite!», «A colpi di matita, senza armi pesanti!».
Urliamo scandendo «Char – lie!» facendo seguire tre applausi. Poi il silenzio, un silenzio carico di emozione, ripiomba su tutto. La mia tristezza, come quella di tutti, è tale che appare impossibile parlare senza scoppiare a piangere. La collera e la rabbia sono ferme a causa della tristezza, tranne quando qualcuno intona La Marsigliese. Fischio e dico: «Silenzio!». No, nessun canto patriottico oggi! I nostri morti odiavano lo sciovinismo, il patriottismo e le ideologie da molto tempo simboli accaparrati dalla destra, dall’estrema destra e dai tifosi di calcio. Loro se ne fregavano dei simboli repubblicani, se ne facevano beffe. Questa sera noi piangiamo gli amici e i parenti. Nel cielo nero si accendono le lanterne, liberate in aria dalla base della statua della Repubblica. Esplodono acclamazioni. Un gesto bello e gentile. Faccio il giro della piazza, con tanta pena. Sento qualcuno dire: «Guarda, un taxi. Cosa ci fa qui? Sono turisti americani che visitano l’allegra città di Parigi», «Da oggi 7 gennaio sarà San Charlie Hebdo», «C’è molta gente, questa è una bella cosa».
Sì, buona, molto buona. Tutto questo mi riscalda il cuore. Tutte queste persone venute qui per stare con noi, per rendere omaggio ai giornalisti, per manifestare a favore della libertà d’espressione. Con dignità.
Ore 20:15 – Rientro a casa. Charlie Hebdo è morto, viva Charlie Hebdo!
By Tiphaine Martin – Parigi (traduzione a cura della redazione)