Il tema della “danza macabra” è un tema iconografico che affonda le sue origini nel periodo tardomedievale nel quale è spesso raffigurata una danza fra uomini e scheletri. Nel Medioevo gli scheletri danzanti incarnano la morte e la caducità della vita umana (complici anche eventi scioccanti come la peste del 1348) e si diffondono in tutta Europa (la sua più antica rappresentazione nel vecchio Cimitero degli Innocenti a Parigi, risalente al 1424). Con il tempo, complice anche la familiarità con il soggetto e lo stemperarsi della cultura religiosa fortemente superstiziosa, la Danza Macabra, e gli scheletri, sono utilizzati in musica (La Danse macabre di Camille Saint-Saëns, 1874; la Danza macabra di Franz Liszt, 1834-1859; l’album Dance of Death degli Iron Maiden, 2003; la Danza Macabra di Renato Zero, 1987 e di Vinicio Capossela, 2019; il Ballo in Fa diesis minore di Angelo Branduardi, 1977) e in ogni branca dell’arte per esprimere con una certa ironia la caducità della vita umana, la consapevolezza, da parte dell’uomo moderno, caratterizzato da un atteggiamento maggiormente scientifico verso gli eventi della vita, della transitorietà della sua stessa esistenza.
Nella cultura Messicana el Día de los Muertos è una festa di origine precolombiana dedicata al ricordo dei defunti che si celebra i primi giorni di novembre (così come Halloween o il Giorno dei defunti). Nati dal sincretismo fra la cultura preispanica e il cattolicesimo, i riti del Día de los Muertos prevedono che si addobbino le tombe dei propri defunti con fiori, candele, pane, vino e particolari pietanze (offerte e altari colorati sono frequenti).
“Trovo la Danza Macabra un soggetto estremamente ironico, sebbene inquietante”, rivela Diego Gabriele, classe 1981, pittore in bilico fra arte e design, che ha dedicato alla Danza Macabra la sua ultima capsule collection di t-shirt (nata da un sondaggio sui social).
L’artista, che ha esposto le proprie opere a New York, Berlino, Milano e Parigi e collabora con brand di moda, riviste e band musicali, illustra la sua Danza Macabra, con un movimento e una vivacità più simili ai manufatti de Los Muertos in Messico che all’iconografia del nostro tardo medioevo.
I suoi cinque scheletri in fila non hanno niente di spaventoso: il primo suona il flauto, l’altro è intento a far risuonare un tamburo, il terzo sguaina la spada e il l’ultimo si esibisce con un improbabile violino.
Parlando di danza macabra, quindi anche di musica, quale musica risuona attualmente per il mondo dell’arte figurativa in Italia, e quale musica (letteralmente quali canzoni, melodie o colonne sonore) ascolti durante la creazione delle tue opere spesso al confine fra arte e design?
Nelle mie creazioni pittoriche la musica è davvero molto importante ed è raro che non ascolti musica mentre dipingo o disegno. Nelle ultime produzioni come la serie di quadri intitolata Disorder e per la realizzazione del mio mazzo di Tarocchi, ho ascoltato tantissima musica orientale e occidentale del 1600 e della tradizione del sud Italia, la trovo “magica” davvero ascoltandola ho la sensazione di vivere in un altro tempo.
In questi mesi ho scoperto e apprezzo moltissimo le esecuzioni di Jordi Savall e de L’Arpeggiata, mi piace Battiato e poi rompo queste sonorità ascoltando i Sonic Youth, Pixies o i Queen of the Stone Age. Mentre per quanto riguarda la Danza Macabra, mia moglie spesso in casa si esercitava suonando La Danse macabre di Camille Saint-Saëns, apprezzo tantissimo il lavoro fatto da Vinicio Capossela in Ballate per Uomini e Bestie. Il pezzo comunque che mi sento di definire come massima ispirazione è “Passacaglia della Vita” di Stefano Landi eseguita da L’Arpeggiata e Christina Pluhar. Questo è il pezzo che mi ha aiutato più di tutti a disegnare la mia Danza Macabra e non solo.