Chad Norman è un poeta canadese pluripremiato. Le sue poesie sono apparse su innumerevoli pubblicazioni nazionali e internazionali, in programmi radiofonici e in TV. È autore di venti raccolte di poesie. Membro della” League Of Canadian Poets” e di altre associazioni letterarie, è invitato regolarmente da scuole, associazioni, università e festival a tenere letture e seminari di poesie. Conduttore e organizzatore del festival di poesia e musica” RiverWords” e dell’evento letterario “All’s Well Mixture”, è anche il fondatore della “Grant Block Press.” Di seguito, alcune poesie da me tradotte.

Lei è un poeta ampiamente pubblicato e pluripremiato e per vivere lavora in una segheria. Come concilia questa dualità?

Come ho forse rivelato, tempo fa lavoravo in una segheria. Ed è lì che ho scritto la poesia Accident At The Mill, che narra di un’interazione che ebbi con una formica. Adoro e rispetto ciò che è minuscolo, soprattutto se è una cosa viva ed è entrata nella mia vita. Diventa per me una guida da seguire, perché a 62 anni so che tutto può essere estremamente educativo. Non lavoro più nella segheria, ora sono operatore di carrelli elevatori, e anche questo nuovo lavoro mi ha ispirato una poesia, The Nut and The Bolt. Un dado lucido, che ho trovato mentre spazzavo il pavimento del magazzino, è diventato ispirazione, una cosa che mi ha chiamato per essere scritta. Sono sempre in ascolto, e a volte, come è accaduto con il bullone tra polvere e detriti, mi sorprendo. Credo in quello che consigliava Whitman, la necessità di essere un canale di trasmissione affidabile, ed è ciò che ho cercato di applicare nei miei quasi 40 anni di scrittura. Se l’ispirazione arriva, se ti invia una poesia, parole o linee, assicurati di essere lì per catturare ciò che è stato inviato.

Per quanto riguarda la dualità, il lavoro ha a che fare con la vita quotidiana, possedere una casa, un’auto, portare avanti una famiglia, tutte cose che comunque fanno parte della vita. Voglio e ho bisogno di tutte queste cose. Così ho dovuto imparare a fare l’operaio in una segheria, a operare un carrello elevatore, così come ho dovuto imparare a fare il poeta. In realtà si tratta di capire che portiamo dentro di noi le nostre identità, il corpo è come un armadio.

Nelle sue poesie possiamo sentire un forte senso di empatia e di osmosi con ciò che descrive. Riesce a celebrare l’essenza delle cose, catturando singoli momenti significativi. Qual è il suo approccio personale alla materia, da cosa nasce la sua scrittura?

Il mio approccio a ciò che poi diventa la mia materia grezza è sempre personale, mi apro ad essa, senza paura perché c’è sempre qualcosa da imparare. Una delle ragioni per cui ho scelto la poesia molti anni fa è che sapevo di voler vivere in modo di costante apprendimento, senza mai sentire che tutto è conosciuto. Rimanere aperti e ricevere. Sii degno di fiducia e la musa sarà generosa. Questo è quello che so.

Perché scrivo e da dove nasce – Wow! – L’origine può essere in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Nel corso degli anni, ovunque mi trovassi, le poesie mi hanno sempre trovato, e sono arrivate a me da ambienti urbani, paesaggi di campagna, dai tumulti della condizione umana, dalle lotte, e senza dubbio da temi politici. Ora che ho 60 anni mi rendo conto di quanto sia libero qui in Canada di scrivere ciò che voglio – nessuno verrà mai a trascinarmi via in qualche campo o in una prigione. Questo non è scontato ovunque, e allora io ne approfitto nelle mie poesie. Per ora sono libero!

In un universo letterario dominato dall’Accademia, quali sono le sfide maggiori per un poeta indipendente?

Qui in Canada molti poeti sono collegati in vario modo all’Accademia. Nel corso degli anni mi sono dovuto scontrare più volte con l’egemonia dell’Accademia per quanto riguarda le riviste letterarie, i premi di poesia, i finanziamenti che vengono approvati, e la pubblicazione dei propri e da quali case editrici. Quando ero più giovane tutto questo mi infastidiva, più di quanto non mi infastidisca oggi, e ne parlavo apertamente; qui in Canada non ci vuole molto per bruciare un ponte ed essere considerato un piantagrane, il che spesso porta al rifiuto da parte di alcune riviste e case editrici, o all’impedimento di fare letture pubbliche in certi luoghi. Sono forse un poeta indipendente, ma sono soprattutto un combattente e non mi piego facilmente, cosa che mi ha a volte procurato qualche problema. Sorrido quando scrivo questo, perché se considero il mio passato, le mie lotte, e vedo ora il mio presente, sono contento di ciò che ho potuto realizzare non essendo bloccato tra le comode mura dell’Accademia. Devo però ammettere che nel corso degli anni ho ricevuto disponibilità, apertura e sostegno graditi da diversi accademici che stimo e amo molto.

In quest’ultimo anno di tempo sospeso, la sua scrittura è cambiata? Se sì, come?

La mia scrittura in realtà non è cambiata, semplicemente vi si è intrufolato un nuovo tema, il Coronavirus, e con esso la mia percezione di come il mondo in fondo viva questa nuova realtà in modo simile al mio. Qui a Truro, Nova Scotia, dove vivo e scrivo, ho sempre avuto poche interazioni, sono abituato a stare da solo con mia moglie. A volte credo che la mia vita debba essere così perché la mia scrittura possa essere completa. Se ci penso, in fondo non ho mai avuto molti amici nel corso degli anni. Una verità su cui non mi soffermo, soprattutto ora, a sessant’anni, ora che ho realizzato ciò che volevo come poeta. Considero la mia situazione, il modo in cui mi è permesso di vivere, come un dono, e non sento il bisogno di far parte di alcun circolo sociale. Facebook svolge bene la funzione sociale e posso prestare attenzione a ciò che il virus sta facendo alle vite degli altri poeti. La mia ispirazione non ne ha risentito, lo scorso anno è stato uno dei più produttivi finora: due nuovi manoscritti di poesia, e un libro per bambini. Fortunatamente non mi sento scoraggiato in alcun modo. La gratitudine prevale!

Dalla raccolta Squall: Poems In The Voice Of Mary Shelley

IL DISTACCO LA TERRA SUSSURRA, 1822
Mary con la guancia alla terra;
una piccola scatola sigillata vicino al suo viso

I
Ho giaciuto
sul petto di un uomo
il mare placato
come fosse sposa
obliata
nel mezzo del suo ultimo desiderio.
Arrivare alla Terra
dal cancello luminoso delle onde
disposta a ostruire
i cicli impotenti dei polmoni,
barca o non barca,
per il soccorso effimero della tempesta.

II
I ritmi di questo pianeta
intrattengono un orecchio;
a portata dell’immaginazione
il suo battito cardiaco inizia
a rollare nell’altro,
interrotto dalla beffa del mare,
grondante una folata tamburella
smaniosa di rivivere il passato.

III
Non ingannare più la mia guancia!
Terra,
Voglio promesse….
Dal manoscritto: A Matter Of Inclusionper la poeta siriana Nour Nasra

DONNA SEDUTA SU UNA SEDIA CON UN PAPAVERO BIANCO
Dal confine di ciò che ignoro
ero pronto, sempre pronto,
ad ammettere inconsapevole
il limite che mi ha visto fermo
a guardarla seduta su una sedia
a guardare come la sua pelle, i suoi capelli, le mani,
la postura hanno reso i miei occhi
un pittore,
in breve un Picasso,
i miei occhi sono i suoi,
nel modo in cui guardo come
una donna siede distante
dalla sedia che ha scelto dove
la sua famiglia subisce le guerre
portate da tanti uomini,
uomini quasi mai/ difficilmente leader,
uomini di altre terre dove
le donne si siedono e affrontano quello che fa
seduto su una sedia ovunque,
in qualsiasi momento, mentre gli uomini falliscono come leader,
fallire come uomini,
che non vuole nemmeno tirare fuori una sedia
e offrire una breve opportunità
per lei e per tutte le donne
per essere seduti mentre tanti
attraversare così tante frontiere/confini
non conoscendo le loro scelte,
scelte sul colore della loro pelle
tristemente ancora causa di allarme
invece di essere come fare un passo
oltre quei confini, e
prendere una sedia con lei,
con tutte le donne lasciate troppo spesso
seduto su una sedia da qualche parte,
in attesa di quello che aspettano
come se il futuro fosse così lontano
qualcosa di nuovo, qualcuno di nuovo,
sta per entrare in questa stanza
quella che chiamiamo la nostra casa,
una scelta che chiamiamo il nostro paese,
un pianeta che possiamo riparare, la possibilità
molto probabilmente una donna
seduto da qualche parte molti anni fa
ha detto con orgoglio e a voce alta: “Pace!
Dal manoscritto: A Small Parental Forest

COME COMPRENDERE UN SINGOLO ALBERO
Dopo essere entrato
in una piccola foresta parentale
per qualche motivo
mi appare un deserto australiano
e ascolto la storia
di una donna
che cercava l’ombra
di un singolo albero.
Non so se l’abbia mai trovata.

Dentro i gesti dell’autunno
le foglie si scelgono i colori,
che solo si accordano con i rami
lasciati alle spalle.

Il terreno ombreggiato
coperto da ciò che il sole un tempo
spartiva con i flussi profondi,
custodi della misura del verde
domina il suono del vento,
le radici si fanno più lente, il calore si disperde in qualche luogo.

Vedo la mia mano scegliere quello giusto.

Che la corteccia sia sempre generosa,
dice l’uomo che è in me
questo è quello giusto, gli altri poi scompaiono
allora anch’io mi siedo poggiato
a un albero solitario, ponendo fine a ogni solitudine,
tutta la foresta
è andata altrove
a donare a un altro esploratore
una ragione per conoscere, respirare
e dire grazie per l’aria.
Ogni respiro, ora, è solo insieme.