Nonostante le mille difficoltà che la pandemia sta ponendo al mondo dell’arte, la creatività non si è fermata; tanti artisti, in particolare giovani, sono al lavoro su progetti da sviluppare non appena la situazione si normalizzerà, e l’Europa Orientale, terra dalla complessa storia recente e dalle variegate radici culturali, si sta dimostrando fra gli incubatori più interessanti. Abbiamo intervistato tre giovani artiste di un collettivo multinazionale, Olga Krykun (Ucraina), Milica Mijajlovic (Montenegro), Tamara Spalajković (Serbia), con una visione dell’arte legata anche alle tematiche socio-politiche e al ruolo della donna nella società.
Come vi siete conosciute e perché avete scelto di lavorare insieme?
[Olga, Tamara e Milica]: ci siamo conosciute tutte a Praga, incontrandoci in diverse situazioni. Prima alla scuola d’arte, poi alle varie mostre che aprivano in città, e infine anche alle feste della comunità artistica. Ci siamo sentite affini per lo stile di vita, ma anche per gli interessi nel campo dell’arte contemporanea. Inoltre c’è qualcosa di ancora più profondo: le radici dell’Europa Orientale, che tutte e tre abbiamo, e quindi la mentalità che ne deriva. Noi due (Milica e Tamara, NdA) stavamo già collaborando insieme, e dopo l’invito di Niccolò Lucarelli a realizzare un progetto collettivo abbiamo proposto di coinvolgere anche Olga, poiché il suo approccio all’arte è affine al nostro.
Qual è lo scopo della vostra ricerca artistica? Quale messaggio vorreste lanciare al pubblico?
[Tamara]: gli obiettivi della mia ricerca artistica stavano cambiando continuamente e recentemente ho iniziato a pensare al potenziale delle arti nell’impegno civico. Studiare attentamente i diversi progetti artistici socialmente impegnati, e utilizzare l’arte come strumento per proporre soluzioni o per rafforzare il senso di comunità, mi ha spinto a pensare di concentrare la mia pratica su qualcosa di simile. Mi sembrava infatti che il mondo dell’arte “ufficiale” avesse un atteggiamento passivo che ne sprecava il potenziale.
[Olga]: il mondo dell’arte potrebbe spesso sembrare un ambiente complicato e serio, ma il messaggio che voglio mandare, invece, è che tutti potrebbero essere artisti; vorrei portare un po’ d’ironia, rendere questo mondo più giocoso e meno accademico. Sto cercando di raggiungere un’espressione artistica che sia piacevole per entrambe le parti in causa: io e il pubblico. Vorrei che il mio lavoro ispirasse dialogo e confronto fra me e il pubblico, ma anche all’interno del pubblico stesso.
[Milica]: la mia pratica artistica è spesso immaginata come una conversazione fra la mia mente razionale e il mio subconscio. Cerco di rappresentare ciò che spesso non mi è nemmeno troppo chiaro, ma lo decodifico attraverso il mio lavoro. Il più delle volte non cerco di inviare messaggi, piuttosto pongo domande. È una ricerca introspettiva e lo faccio senza l’intenzione di innescare qualcosa in chi guarda le mie opere. Ma penso che ogni volta che sono onesta con me stessa e lo faccio capire nell’opera in questione, le persone rimangono emotivamente colpite, e a loro volta rispondono con una reazione emotiva sempre diversa.
Quanto sono importanti, nel vostro lavoro, le vostre origini est-europee?
[Tamara]: l’identità nazionale è sempre stata qualcosa di problematico per me. Crescere in Serbia, nell’atmosfera del dopoguerra di un conflitto che sostanzialmente non è ancora risolto, mi ha fatto voler essere cittadina di nessun paese. Essere serba significa essere nazionalista. Trasferirmi in Repubblica Ceca nel 2019 mi ha dato un nuovo punto di vista più obiettivo, da cui posso capire che la guerra è ancora irrisolta, e ancora influenza la vita quotidiana delle persone che vivono nella regione (molto più pesantemente di quanto pensassi quando vivevo lì ); questa situazione ha influenzato anche la costruzione della mia identità, appunto mentre crescevo all’interno di questo trauma transgenerazionale. Non direi che sia la cosa principale che cerco quando creo un’opera, ma inevitabilmente la influenza.
[Olga]: quando ho iniziato la mia attività, nel 2014, la questione dell’origine non era importante per me, mi sono concentrata sul mondo globalizzato contemporaneo e le sue problematiche. E ciò era collegato anche al mio trasferimento in Repubblica Ceca e al cambiamento di orizzonte. Ma poi, intorno al 2017, quella sensazione di essere cittadina del mondo si è evoluta in un qualcosa di più concreto; essere sì nell’era della globalità, ma con una comprensione più profonda delle mie radici e di una cultura che ha formato la mia personalità.
Quanto sono importanti, nel vostro lavoro, le radici est-europee?
[Milica]: penso di non poter radicare la mia pratica al di fuori del mio background dell’Europa orientale, più precisamente la Serbia dopo il 1993. Anche io ho cercato di sfuggirle in qualche modo, pensando che sia patetico collegarlo al mio lavoro. Ora sto cercando di sbloccare questo rifiuto e di trovare sempre più risposte, cioè perché questo background è importante per me, come mi ha definito e quali sono i modi per superare certi nodi del passato sulla base di come si riflettono nel presente.
Come ci si sente a essere una giovane donna nel mondo dell’arte contemporanea?
[Tamara]: il mondo delle arti contemporanee a volte sembra una bolla rumorosa in cui tutti parlano di uguaglianza. Ma in pratica poi si vede che essere consapevoli della problematica, non significa che la problematica sarà risolta. Un po’ come ha accennato Olga, recentemente anch’io ho iniziato a inquadrare la mia identità di donna, e in particolare i comportamenti che ci sono imposti in famiglia, a scuola, e in tutto l’ambiente circostante; sto appunto lavorando per rafforzare la mia integrità di donna.
[Olga]: per me essere una donna significa ancora un po’ dover combattere. Mi occupo delle questioni del femminismo della “quarta ondata” e sento che sono le stesse nel mondo dell’arte. Ad esempio, la disuguaglianza salariale si riflette sui prezzi pagati per le opere di una donna. Oppure alcune persone vedono ancora una donna meno “grande artista” di un uomo, ma voglio essere ottimista, ci sono stati molti cambiamenti anche nell’ultimo decennio e ce ne saranno ancora.
[Milica]: sicuramente, meglio essere una giovane donna nel mondo dell’arte contemporanea, che una giovane donna nell’arte del mondo contemporaneo. Ci si sente bene, il più delle volte. Più sei impegnato nella causa, più riesci a notare le storture del sistema dell’arte, esattamente, però, come puoi notare le diseguaglianze che sussistono in altri settori.
A quali progetti state lavorando adesso?
[Olga, Tamara e Milica]: in questo momento stiamo lavorando a diversi progetti individuali, ma Blasts Cries Laughter, a cura di Niccolò Lucarelli, è quello a cui stiamo lavorando insieme come collettivo. Lo abbiamo sviluppato prima della pandemia, comunque in questi mesi di pausa forzata abbiamo avuto più tempo e condizioni diverse per lavorarci, e quindi adesso è più approfondito.
Avevamo avuta l’opportunità di esporlo in una galleria di Monaco di Baviera, fissata per lo scorso settembre; ma dopo la sua cancellazione abbiamo iniziato a pensare a come sviluppare ugualmente il progetto in attesa di tempi migliori. Dopo lunga riflessione, ci siamo rese conto che poiché la pandemia è ancora in corso, e viviamo in Paesi diversi, abbiamo deciso che, per ora, potrebbe diventare un progetto online.
Tre giovani artiste dalle idee chiare, dalle complesse e non facili radici culturali, con dentro tanta voglia di far sentire la loro voce. Sicuramente, in collettivo, il loro potenziale potrà esprimersi al meglio, supportato dal dialogo fra la comunanza di radici culturali e scopi artistici impegnati.
Abbiamo chiesto al curatore Niccolò Lucarelli di illustrare più dettagliatamente il progetto in cui le ha coinvolte: “Ad un primo livello, il progetto intende cogliere, in una sorta di dinamismo teatrale, gli aspetti opposti di decadenza e permanenza del momento, del concetto, dell’emozione: ciò che siamo senza sapere di essere, ciò che sappiamo di non essere, ciò che vorremmo essere. A un secondo livello di lettura, intercetta metaforicamente l’importanza del pensiero critico, la libertà che esprime e la capacità dell’arte di essere uno strumento di lotta. Il progetto è pensato come un “dramma” fra tragedia e commedia, basato sul “realismo prospettico” teorizzato da Massimo Castri, nel cui pensiero il palcoscenico descrive la realtà non in modo diretto, ma in maniera leggermente distorta; come, ad esempio, Bertolt Brecht con il suo La resistibile ascesa di Arturo UI. Un approccio che ha avuto, nella drammaturgia, la stessa notevole importanza che ha avuto l’espressionismo nella pittura: osservare la realtà da un’altra prospettiva.“
“Il “cuore” del progetto – prosegue Lucarelli – è il lavoro di Tamara Spalajković Epic crowd control, un’installazione incentrata sull’idea delle barricate, delle proteste di piazza, del controllo di massa, e che si ispira alle proteste di Hong Kong dell’autunno 2019, ma può essere riferita anche a molte altre proteste in tutto il mondo. Inoltre, durante la pandemia abbiamo assistito a rivolte in Spagna, Francia, Stati Uniti, Italia e molti altri Paesi. Le tensioni sociali sono esplose ovunque. E non dimentichiamo che le barriere d’acciaio sono state utilizzate in Cina anche per circondare le “zone rosse” durante la pandemia. “
Conclude il curatore: “con A Life: a Flash, Milica Mijajlovic crea uno scenario ideale per esprimere la sensibilità, colta nel momento più innocente della vita (l’infanzia), che però viene a contatto con la manifestazione più aberrante della violenza: la guerra. E con il video Notes on missin father, l’artista ricorda la tragedia di tanti bambini cresciuti rimasti senza famiglia dopo i bombardamenti.”
“Concepita come una metafora, Glyptodon Expert Interview di Olga Krykun è una sorta di danza tribale preistorica, un momento metaforico di “rottura della corazza” per andare oltre il caos mediatico che massifica il pensiero umano. Questo è il terzo e ultimo “capitolo” del progetto, e cerca di immaginare come potrebbe essere il mondo post-pandemico, con una nuova armonia tra le persone e la natura.“