Ricordo vividamente quel giorno che Olivier piombò in redazione. Avevamo la redazione a piano terra e il direttore l’aveva voluta lì per facilitarne l’accesso al “popolo”. A dir il vero, poi, di popolo se ne era visto poco, molta borghesia medio alta e qualche disperato. Olivier pure non era popolo, era un personaggio strano, con lo sguardo trasognato e l’impellenza data dal bisogno. Veniva a “vendere”, ma più metaforicamente che altro, la sua storia. Aveva compiuto un’impresa, anzi la stava ancora compiendo, e cercava onori, gloria, riconoscimento, cibo e bevande.
Il direttore lo identificò come un seccatore e me ne occupai io “purché ti sbrighi!”. Così, dopo essermi fatto raccontare la sua storia, scattato una foto e socializzato il minimo indispensabile, decisi di portarlo al bar e ringraziarlo del tempo che mi aveva dedicato con qualcosa da mangiare e, come scelse sapientemente, aranciata in lattina. C’era un perché a tutto, sapeva di cosa aveva bisogno per continuare a carburare. Era fisicamente in forma e con una mente che faceva strani movimenti, ma sicuramente in maniera attiva e non passiva.
Olivier, poi, parlava francese, ma cercava di avvicinare la sua cultura di origine alla mia infarcendoci parole dal sapore italiano, o spagnolo, che costituivano uno strano pot-pourri, un gramelot non del tutto funzionale. D’altra parte i miei ricordi di quel giugno del 2011 su questo aspetto si affievoliscono.
Ricordo invece vividamente “l’esigenza di camminare”, me lo disse come una cosa normale, meccanica. Mi disse qualcosa di questo tipo: “devo camminare, perché il mio corpo produce adrenalina e il mio cervello la vuole”. Non potevo ridurre quel personaggio così interessante all’ultimo dei tossici, non lo scrissi nell’articolo del 2011.
Del resto la notizia non era quella, la notizia era che avevo di fronte un moderno superpellegrino. O no? Forse gli articoli andrebbero scritti proprio così, 10 anni dopo i fatti. Certo, i fatti andrebbero vissuti, poi il tempo livellerebbe, piano piano, tutto e… rimarrebbe solo l’essenziale. O quello che il narratore ritiene essenziale.
Un miglio diluito nel tempo. Un miglio metaforico. Olivier, di miglia ne ha percorse molte. Diceva 10 anni fa: “Sono un pellegrino, girerò tutta l’Europa fino al 9 maggio del 2012, giorno della Festa dell’Europa in cui il mio viaggio finirà e credo che mi fermerò per cercare di mettere a frutto le esperienze fatte in questi anni, sì in campo lavorativo, ma soprattutto per aiutare gli altri nel sociale e in particolare gli adolescenti che vivono situazioni difficili”.
Non si è fermato più. Scorro le foto del suo profilo Facebook alla ricerca del vecchio articolo (ricordavo che era stato pubblicato sulla sua pagina) e scopro decine di cartine con il percorso segnato. Come quando gli amici, per darsi un tono, mostrano il report della App del momento che stampa a video: contapassi, tragitto e kilometri totali percorsi. Sbandierano orgogliosamente tra i 10 e i 5 kilometri, loro, ma i conteggi che riguardano Olivier, invece, sono a 2 o tre cifre: 25 km in 5h e 22 minuti, 340 in 84 ore e 24…
Non sono in contatto con questo uomo straordinario, ma vedo che la foto riassuntiva dei suoi viaggi, quella che orgogliosamente recita: “90.000 chilometri a piedi in 10 anni”, risale a dicembre del 2019. Forse il Covid ha fermato anche lui.
Olivier è molto religioso. Ha visitato molte decine di monasteri, che spesso gli hanno anche offerto asilo per una notte o due, le chiese restano il riparo del pellegrino, anche nell’epoca contemporanea. Le sue foto raccontano soprattutto della natura che ha esplorato, conquistato, scoperto. Una natura che ovviamente non è stata solo madre, ma anche matrigna. Sotto la pioggia e col freddo, per dirupi ghiacciati e sentieri fangosi.
Poi ci sono anche le apparizioni televisive, gli articoli di giornale a lui dedicati e i compagni di viaggio occasionali. Persone che incontra nei posti dove va, che gli danno aiuto o gli fanno semplicemente compagnia per un po’. C’è insomma un’Europa viva nelle sue foto, è un viaggiatore, ma non un pellegrino silente. Egli racconta i suoi viaggi, comunica il suo percorso: sia quello fisico che quello interiore. Senza mancare di diffondere le sue idee filosofiche e politiche.
Tante sono le miglia nelle scarpe di Olivier, eppure proprio attraverso questo suo modo attivo e folle di affrontare la sua esistenza, egli sembra aver trovato la sua dimensione. In un’intervista rilasciata a Trentino Tv nel 2018 spiega: “Ho fatto una scelta: essere, più che avere”. E ancora: “Se hai soldi non hai tempo”, “Se hai tempo, hai tutto”. Tutto è possibile con il tempo”.
Olivier ha fatto una scelta che molti di noi non riescono nemmeno a sognare. Basta poco per trasformare il bello in inusuale e infine in cosa deplorevole. La sua storia è quella di un uomo che ha deciso di vivere intensamente, ma che ha rigettato tutti i valori imposti dalle società in cui viviamo. È un vagabondo che non ha voglia di lavorare. Basta poco per cambiare prospettiva e, come sopra, trasformare lo straordinario in ordinario e poi in qualcosa di negativo, negletto, che genera repulsione.
Non conosco Olivier tanto bene da poter dire di più, ma conosco gli uomini contemporanei e la società che hanno costruito, Olivier, in fin de’ conti, ha capito che per starci bene, doveva fuggirne, continuando a percorrere i luoghi da essa creati (anche fosse solo il sogno di un camminatore au claire de la lune).
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