Devo ammettere che prima del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale” conoscevo poco la poesia di Louise Glück. Ne conoscevo il nome, la reputazione di poeta dura, senza compromessi, qualche verso sparso.
Louise Glück, originaria di NYC, ora residente a Cambridge in Massachusetts, è stata nominata poeta laureata negli Stati Uniti e ha ottenuto altri premi prestigiosi prima del Nobel, il Pulitzer ad esempio e il National Book Award. Le sue liriche sono note per le immagini intense, il linguaggio attento, preciso e scarno, e per il frequente ricorso al mito, alla storia e alla natura.
Tematicamente la Glück armonizza esperienze private e temi universali (la morte, la perdita dell’innocenza, la sofferenza) con l’abilità di incarnare e dare voci intelligenti ed emotive ai suoi personaggi, dai fiori ai miti e agli oggetti comuni. Pur indugiando su riflessioni personali o anche su faticose auto-analisi, le sue poesie suggeriscono forte consapevolezza di un senso collettivo; così un oggetto comune, un foglietto attaccato a uno specchio per esempio, diventa manifestazione di dubbio esistenziale, soggettività divisa, ambivalenza; l’intreccio di miti antichi e sguardo femminile aggiunge nuovi strati e significati al tessuto poetico. Qual è, per esempio, il rapporto alla base della relazione tra una madre e una figlia, chi tradisce chi, quali invece le forme di tacito consenso?
La natura è la scena ideale di molte delle poesie di Louise Glück. La raccolta L’iris selvatico (Giano 2003) è ambientata in un giardino dove i fiori posseggono voce e lingua e diventano Io senziente che si pone domande su cosa significhi abitare la Terra: cosa provano quando il loro corpo fragile si spacca e si apre alla fioritura? I fiori di Glück spesso sanno molte più cose di noi, vivono una vita interiore vivida, incarnando le intime relazioni tra l’Io e l’inconscio, tra il corpo e il desiderio.
La poesia di Glück ci coinvolge indubbiamente per la sua apparente linearità narrativa. I versi sono costruiti in modo semplice e asciutto, senza orpelli monumentali o pathos elegiaco. Se il suo stile rifugge il lirismo classico, si affida invece alla ripetizione e all’enjambment per segnare il ritmo, e a specifiche tecniche descrittive per tratteggiare l’ambientazione: una voce parla, poche parole scolpite creano uno spazio, un tempo, un giardino, una notte. Ci presenta una situazione, un episodio concreto e allo stesso tempo ci mette davanti ad uno specchio, rimandandoci l’immagine primaria dell’esistenza, l’umano molto umano Dasein. La poeta statunitense è ancora poco tradotta in Italia. Di seguito vi propongo quattro liriche da me tradotte.
Frammento Arcaico Io ho provato ad amare la materia. Ho attaccato un foglietto sullo specchio: Non puoi odiare la materia e amare la forma. Era una bella giornata, anche se fredda. È stato, il mio, un gesto stravagante ed impulsivo. ……. la tua poesia: ci ho provato, ma non ci sono riuscita. Ho attaccato un foglietto sopra il primo: Urla, singhiozza, fatti male, strappati le vesti— Elenco delle cose da amare: terriccio, cibo, conchiglie, peli umani. ……. anzidetto eccesso privo di gusto. Allora ho dato in affitto i foglietti. Ahiahiahiahi piangeva lo specchio spoglio. | Archaic Fragment I was trying to love matter. I taped a sign over the mirror: You cannot hate matter and love form. It was a beautiful day, though cold. This was, for me, an extravagantly emotional gesture. …….your poem: tried, but could not. I taped a sign over the first sign: Cry, weep, thrash yourself, rend your garments— List of things to love: dirt, food, shells, human hair. ……. said tasteless excess. Then I rent the signs. AIAIAIAI cried the naked mirror. |
Notturno La mamma è morta ieri sera, Madre che non muore mai. L’inverno era nell’aria, ancora a mesi di distanza ma comunque nell’aria. Era il dieci di maggio. Il giacinto e i fiori di melo sbocciavano nel giardino sul retro. Potevamo sentire Maria cantare canzoni della Cecoslovacchia — Quanto sono sola — canzoni di quel tipo. Quanto sono sola, senza madre, né padre — la mia testa tanto vuota senza di loro. Dalla terra salivano effluvi; i piatti erano nel lavandino, lavati ma non impilati. Sotto la luna piena Maria piegava il bucato; le lenzuola ruvide diventavano aridi rettangoli bianchi di chiaro di luna. Quanto sono sola, ma in musica la mia disperazione è la mia gioia. Era il dieci di maggio come prima erano stati il nove e l’otto. La mamma dormiva nel suo letto, le braccia tese, la testa in equilibrio tra di esse. | Nocturne Mother died last night, Mother who never dies. Winter was in the air, many months away but in the air nevertheless. It was the tenth of May. Hyacinth and apple blossom bloomed in the back garden. We could hear Maria singing songs from Czechoslovakia — How alone I am — songs of that kind. How alone I am, no mother, no father — my brain seems so empty without them. Aromas drifted out of the earth; the dishes were in the sink, rinsed but not stacked. Under the full moon Maria was folding the washing; the stiff sheets became Dry white rectangles of moonlight. How alone I am, but in music my desolation is my rejoicing. It was the tenth of May as it had been the ninth, the eighth. Mother slept in her bed, her arms outstretched, her head balanced between them |
Vespri [“una volta credevo in te…”] Una volta credevo in te; ho piantato un albero di fichi. Qui, nel Vermont, paese senza estate. Era una prova: se l’albero viveva allora tu esistevi. Secondo questa logica, non esisti. O forse esisti soltanto in climi più caldi, nell’infuocata Sicilia in Messico e in California, dove crescono straordinari albicocchi e fragili peschi. Forse vedono il tuo volto in Sicilia; qui a malapena vediamo l’orlo della tua veste. Devo impormi una regola per spartire con John e Noah il raccolto di pomodori. Se c’è giustizia in qualche altro mondo, quelli come me, che la natura costringe a vite di astinenza, dovrebbero ottenere la parte più grande di ogni cosa, di ogni oggetto d’ingordigia, avidità che sia lode a te. E nessuno loda più intensamente di me, con desiderio più dolorosamente assodato, o merita di più di sedere alla tua destra, se esiste, partecipando di ciò che deteriora, il fico immortale, che non si muove. | Vespers [“Once I believed in you…”] Once I believed in you; I planted a fig tree. Here, in Vermont, country of no summer. It was a test: if the tree lived, it would mean you existed. By this logic, you do not exist. Or you exist exclusively in warmer climates, in fervent Sicily and Mexico and California, where are grown the unimaginable apricot and fragile peach. Perhaps they see your face in Sicily; here we barely see the hem of your garment. I have to discipline myself to share with John and Noah the tomato crop. If there is justice in some other world, those like myself, whom nature forces into lives of abstinence, should get the lion’s share of all things, all objects of hunger, greed being praise of you. And no one praises more intensely than I, with more painfully checked desire, or more deserves to sit at your right hand, if it exists, partaking of the perishable, the immortal fig, which does not travel. |
Una favola Due donne con la medesima istanza arrivarono ai piedi del re saggio. Due donne, ma un solo bambino. Il re sapeva che una di loro mentiva. Quello che disse fu Che il bambino sia tagliato a metà; così nessuno andrà via a mani vuote. Ed estrasse la spada. Allora, delle due, una donna rinunciò alla sua parte: quello fu il segno, il monito. Supponiamo che tu veda tua madre combattuta tra due figlie: cos’altro potresti fare per salvarla se non essere disposta a distruggere te stessa – lei saprebbe allora chi è la figlia legittima, colei che non sopporterebbe di dividere la madre. | A Fable Two women with the same claim came to the feet of the wise king. Two women, but only one baby. The king knew someone was lying. What he said was Let the child be cut in half; that way no one will go empty-handed. He drew his sword. Then, of the two women, one renounced her share: this was the sign, the lesson. Suppose you saw your mother torn between two daughters: what could you do to save her but be willing to destroy yourself—she would know who was the rightful child, the one who couldn’t bear to divide the mother. |
Foto di copertina: Ritratto fotografico di Louise Glück dal poster per il reading del Poetry Center at the Museum of Contemporary Art di Chicago (fonte: Wikipedia)