Nel secondo anno del centenario dell’Impresa di Fiume, abbiamo intervistato Giordano Bruno Guerri, il presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, che ci ha raccontato la ripartenza dopo il lungo stop imposto dall’emergenza sanitaria, e si è soffermato su alcune interessanti considerazioni sulla figura di Gabriele d’Annunzio.
Com’è ripartito il Vittoriale dopo i mesi difficili della quarantena?
È già ripartito – fin da subito, il 18 maggio – secondo lo stile dannunziano che amiamo mantenere. Prima abbiamo riaperto solo il parco, poi anche la Prioria. In attesa di nuove disposizioni, soltanto su prenotazione e in gruppi di massimo 6 persone, in piena sicurezza. I visitatori sono indubbiamente meno degli anni scorsi, ma non pochi: abbiamo superato più volte i mille al giorno, arrivando a 3434 il 4 luglio, quando abbiamo inaugurato l’Anfiteatro, finalmente completato dopo 90 anni con la pavimentazione in marmo rosso veronese: era l’unico desiderio che d’Annunzio non è riuscito a realizzare, e il risultato è una meraviglia. Abbiamo ripreso con le visite serali, il sabato, inaugurato una mostra di Claudio Koporossy, e il 29 luglio festeggeremo l’Anfiteatro e Beethoven con uno straordinario concerto dei Pomeriggi Musicali di Milano. Non faremo mancare altre novità, questo è un museo in movimento.
Ritenendo indiscutibile l’interesse a conservare e tramandare la memoria storica di un personaggio come Gabriele d’Annunzio, in cosa il suo pensiero è ancora attuale?
D’Annunzio è un uomo del Rinascimento rinato nell’Europa moderna, che ha finito per intuire e, per molti versi, inventare, il mondo contemporaneo. Ha rotto schemi e convenzioni come letterato e politico, intercettando i linguaggi della società di massa.
Amava ispirarsi a simboli, forme e linguaggi del passato, attualizzandoli. Sapeva intrecciare ogni esperienza personale con la sua vasta cultura da umanista, e utilizzare questa seducente sintesi in ogni sua opera di scrittore, poeta, drammaturgo, uomo politico e pubblicitario. Difficile dire come si comporterebbe di fronte alla rete. Avrebbe l’occasione di diffondere quotidiani fulmini di creazioni, suggestioni e narrazioni su scala mondiale. Tuttavia non gli piacerebbe la quantificazione dei “mi piace”, dei commenti e dei seguaci. Lo priverebbe di un tassello potente del suo carisma: il mistero. Ma l’aspetto in cui d’Annunzio ha saputo davvero vedere oltre i suoi tempi è la politica. Forse perché non la visse come uno stratega machiavellico, ma come poeta al comando.
La Carta del Carnaro, la costituzione che lui scrisse a Fiume, fa impallidire molti testi costituzionali vigenti oggi nel mondo. Laicità dello Stato, parità tra i sessi, eleggibilità di ogni cittadino a partire dai venti anni, autonomia locale, tutela delle minoranze, istruzione primaria gratuita, assistenza sociale per invalidità, disoccupazione, vecchiaia. I lavoratori sono inseriti in un sistema corporativo che ambisce a porre fine al binomio padroni-oppressori e proletari-vittime. Un corporativismo sperimentale che intende proteggere i deboli e accostare il bene dell’individuo e quello della collettività. Rivoluzionario è l’articolo sull’etica del lavoro, che oltre a essere un fondamento dello Stato – anticipando la Costituzione repubblicana del 1946 – deve essere una “fatica senza fatica”, vera realizzazione delle energie creatrici dell’uomo. Tali principi, com’è noto, furono elaborati dal poeta con Alceste De Ambris, teorico del sindacalismo rivoluzionario.
Ma i principi più rivoluzionari sono quelli pensati e scritti dal poeta, che vi trasmise tutta la sua sensibilità per la bellezza e l’armonia. Il poeta previde la costituzione di un collegio di architetti e urbanisti con il compito di curare la salubrità delle case, difendere il paesaggio, pianificare l’urbanistica secondo principi di armonia, allestire manifestazioni pubbliche. Una sensibilità che anticipa la lotta per la difesa dell’ambiente e del territorio, della qualità della vita nelle città.
Il 2020 marca la seconda parte del centenario fiumano, quello delle grandi intuizioni, come la Carta del Carnaro, e quello, purtroppo, della fine del sogno. Secondo lei, cosa mancò al Vate per portare a compimento la sua impresa? E dove, invece, non sarebbe potuto arrivare, a causa della contingenza storica?
L’Impresa di Fiume maturò in un mondo sconvolto dalla Grande Guerra che cercava nuovi significati. A Fiume confluirono uomini di tutte le età e le convinzioni: si confrontarono, si fusero, si azzuffarono. Nella sua ansia di attirare le forze più diverse, d’Annunzio estese l’influenza della sua epopea e della sua visione, ma finì per provocare conflitti e ripensamenti tra i suoi stessi seguaci.
Tuttavia credo che fosse intimamente soddisfatto di quel grande crogiolo ribollente, e forse cercava proprio di vivere uno snodo al limite del possibile, e dunque unico nella storia. Sapeva che i suoi seguaci, qualsiasi direzione avessero preso o qualunque fosse la loro convinzione, avrebbero ricordato Fiume come un’esperienza irripetibile. Tutto ciò che accadde in quei sedici mesi avventurosi, dalla conquista pacifica della città alla creazione di una flotta pirata, fu possibile solo in quella città multietnica, in un momento di transizione tra due epoche, per opera di un uomo capace di cogliere gli umori di un mondo in trasformazione. Credo valga per tutta l’Impresa ciò che d’Annunzio dichiarò nell’aprile 1920 riguardo la Carta del Carnaro: “potrebbe sempre rimanere come un esempio a tutto il mondo dell’aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti“. Era consapevole che quell’equilibrio affascinante ma precario non sarebbe durato in eterno se non nel mito.
A Fiume d’Annunzio è un intellettuale visionario che, come tutti i vecchi rivoluzionari, cerca una seconda giovinezza e la trova in una generazione che sembra perduta. In cambio, le trasmetterà il suo immaginario sconfinato e la sua irrequietezza visionaria. Uno scambio equo che purtroppo molti non capirono, o travisarono, o plagiarono. Come il fascismo, che sfruttò quella generazione e le visioni dannunziane, trasformandole in strumenti della politica totalitaria. Il centenario dell’Impresa di Fiume rappresenta l’occasione preziosa per dare all’Impresa fiumana la sua giusta collocazione storiografica. Il Vittoriale, come centro studi umanistici e storici, ha affrontato la ricorrenza da un punto di vista europeo e multiculturale, liberando Fiume e d’Annunzio dal pericoloso e polveroso apparato retorico nazionalista.
Purtroppo, d’Annunzio oggi non è troppo studiato nelle scuole, e quando accade, difficilmente lo si fa in maniera oggettiva: è un fatto che ancora oggi, molto spesso il Vate è identificato con il Fascismo. Soltanto lassismo, oppure tale distorsione della realtà storica conviene a qualcuno?
Per alcuni decenni, l’Italia repubblicana ha indubbiamente emarginato d’Annunzio. Il fascismo era riuscito a impadronirsi del suo mito a tal punto che nell’opinione pubblica si radicò la convinzione che d’Annunzio fosse davvero un precursore del regime dittatoriale.
Certo, d’Annunzio credeva in uno Stato forte, che educasse e guidasse il cittadino. A Fiume dimostrò che la politica parlamentare poteva essere sfidata. Il fatto che sia rimasto a Fiume a dispetto del mondo intero, coinvolgendo i sostenitori con cerimonie, discorsi e visioni esaltanti, era il chiaro segnale che si stesse affermando un nuovo tipo di politica fondata sul carisma, sulle emozioni e sui rituali di massa. Mussolini in seguito saccheggiò tutto dall’Impresa, tranne ciò che era più importante: la sua essenza libertaria e visionaria. Dopo la caduta del fascismo l’intera parabola umana, letteraria e politica di d’Annunzio è diventata così un capitolo da nascondere. Tuttavia, a partire dagli anni Settanta la storiografia ha messo in luce l’uomo e il poeta in tutta la loro complessità, a partire dai pionieristici studi di De Felice, alle ricerche più recenti condotte da me o i nuovi filoni emersi nel convegno organizzato dal Vittoriale per il centenario dell’Impresa di Fiume.
La rinascita dell’interesse per d’Annunzio ha coinvolto, con il tempo, anche il mondo della scuola. Il Vittoriale ogni anno istituisce speciali progetti didattici, cui partecipa un numero crescente di istituti. Nel centenario dell’impresa fiumana la Fondazione ha coinvolto diverse scuole in un programma di approfondimenti, laboratori, esposizioni, corsi di specializzazione storiografica per docenti e studenti. Passata l’emergenza sanitaria il Vittoriale tornerà ad affollarsi di scolaresche, come ogni anno. Basta una passeggiata nel parco per comprendere quanto d’Annunzio appassioni docenti e studenti.
Sono previsti eventi particolari nel 2021 al Vittoriale, nel segno del Vate?
Molti, e importanti, ma naturalmente non li annuncio adesso.