Il mondo della società liquida, così come definita da Zygmunt Bauman, è nato grazie alle pulsioni postmoderniste che, respinto in blocco il “grande racconto” del secolo breve, si sono dirette verso una società fatta di gioioso nichilismo, una sorta di ludica replica dell’ordine precostituito.
Superati lo stato, dotato di super autorevolezza, e i partiti e le correnti, intesi come luogo, fisico o ideale di incontro o identificazione, si è coltivato e cresciuto un individualismo in cui non più lo stato di diritto, non più le leggi, non più la scienza (e il suo pensiero) guidano le masse, ma la diffidenza reciproca, il consumismo e una sorta di voracità di significato in cui esserci è più importante di essere.
In tutto questo fluire di tentativi di esserci, come è ovvio, la società diventa un insieme di persone affette culturalmente da una forma speciale di ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), ovvero da deficit di attenzione e iperattività. La capacità di concentrarsi è ridotta notevolmente nei bambini, e negli adulti, i testi devono essere più corti (anche se ultimamente si è registrata un’inversione di tendenza), mentre, anche per i libri, saper “attirare l’attenzione” rimane l’obiettivo più ambito di tutte le case editrici.
Abbiamo incontrato Mariapia Ciaghi, Direttrice della casa editrice indipendente Il Sextante, venticinque anni di giornalismo, regia cinematografica, direzione di testate cartacee e online internazionali in giro per il mondo.
Essere editori al tempo della società liquida è di sicuro difficile, ma esserlo in quanto donne deve esserlo anche di più. Ce ne può parlare?
Lo sforzo di una casa editrice indipendente diretta da una donna è enorme: a parte il continuo doppio carico che la società continua a far gravare sulle donne, che devono essere madri perfette, mogli perfette e lavoratrici perfette, sulla donna pesa il già difficile lavoro dell’editore. In più aggiungiamo al peso, quello della credibilità presso gli istituti di credito, le istituzioni e il pubblico stesso. Una donna che fa tutto è sempre una donna incompleta, quindi genera sospetto. Su di lei pesano le tre K di Kinder, Küche und Kirche (bambini, cucina e chiesa) alla quale da tempo la società l’ha relegata idealmente.
Partiamo dalla scelta dei lavori da pubblicare.
Bisogna innanzitutto selezionare il libro. Alla base di tale scelta stanno la coerenza del libro con la linea editoriale della casa editrice; la presenza di un budget – adatto agli obiettivi – che consenta la pubblicazione; la possibilità di individuare e delineare più o meno facilmente un target, un pubblico in potenza interessato a quell’argomento e, conseguentemente, le prospettive ragionevoli di rientro dei costi complessivi affrontati e di avere successivamente un guadagno (per campare e, quasi mai, da reinvestire. Non mi sto lamentando, altrimenti non farei questo lavoro. La mia è una pura constatazione).
Quando abbiamo a che fare con un libro, a differenza di un altro oggetto, non prendiamo mai in considerazione l’investimento in denaro che sta alla base.
Dice bene! Pubblicare un libro vuol dire fare fronte a spese di cui spesso, chi legge, o chi vuole pubblicare, non ha idea. Parliamo di costi interni redazionali, legati alla grafica e alla correzione delle bozze, dei costi amministrativi e dei costi di distribuzione. Poi ci sono i costi di magazzino di trasporto e movimentazione. Non dimentichiamo che un libro spesso prevede un budget per il pagamento dei diritti e uno per la promozione stessa del volume, fatto anche di biglietti di aereo, stanze d’albergo e pranzi e cene. La pubblicazione di un’opera deve essere in grado di soddisfare tutto l’elenco che ho citato. Generalmente anche solo una voce mancante determina il fallimento del progetto (e danni enormi).
Le piccole case editrici, che chiamiamo indipendenti, secondo recenti studi tirano il carretto dell’editoria. Ovvero contribuiscono a creare l’ossatura intellettuale e economica di un paese: non delocalizzano la stampa, impiegando energie e dando lavoro, generalmente contribuiscono a formare giornalisti, scrittori e intellettuali. Inoltre, meno piegate alle mode, hanno più probabilità di scovare scrittori e intellettuali di vero talento.
Aggiunga anche che le case editrici indipendenti non sono dotate dei tipici strumenti interni sui quali possono invece contare le grandi aziende: spesso una grande casa editrice possiede dai due ai quattro giornali, ed è in grado di creare una rete di auto promozione del prodotto. Ecco perchè noi “piccoli” viviamo grazie alla professionalità dei giornalisti che ancora sentono il dovere di leggere i libri che vengono inviati loro. Ma non solo, dobbiamo molto anche a internet, al social media e al tradizionale passaparola.
Dopo venticinque anni di attività nella comunicazione, nel giornalismo e nell’editoria (L’Eco delle Dolomiti, Il Sextante, con ottime recensioni per gli autori sudamericani e italiani, Eudonna), come racconterebbe la sua storia e i suoi sogni?
Ho preso la strada dell’editoria riunendo le mie competenze e costruendo senza mai guardarmi troppo indietro. L’editoria deve essere una realtà vivace e dinamica, credo all’editoria che lavora sulle idee e con le idee, costruendosi i mercati a partire dalla cultura e attraverso la cultura. Riuscire a trasmettere, e qui cito Maurizio Arrivabene, “il proprio coinvolgimento e la propria passione all’esterno, è un modo certo per conquistare un pubblico costantemente sollecitato da stimoli effimeri”.
By M.T.
Carissima Mariapia, sono certo che anche questa “avventura” editoriale, come sempre, andrà benissimo. I presupposti per un successo ci sono tutti. A mio parere la squadra è attrezzatissima e l’aria che si respira leggendo qua e là Mockup, è quella di una cultura profonda, insomma, nulla a che fare con quella usa e getta. Io ti conosco da decenni e so che chiunque può contare sulla tua esperienza, la tua professionalità, la tua infinita cultura. Auguro pertanto, a te e a tutta la “cordata”, il successo che meritate. In momenti come quelli odierni non è facile trovare persone coraggiose e convinte che si mettano in gioco, nei marosi di un incerto navigare, con simili nuovi approdi culturali. Complimenti a tutti, a te un caro forte abbraccio. Italo Carbonara, ex direttore di Play Radio (Gruppo RCS Corriere della Sera), direttore di Opinionday.it