Se lo studioso Jean-François Champollion disse che, dal punto di vista archeologico, “la strada per Menfi e Tebe passa(va) da Torino” e l’ultimo evento speciale “Io sono benvenuto”, dedicato alla Settimana del Rifugiato (13-20 giugno 2018) ha registrato una partecipazione straordinaria di pubblico, ci sarà sicuramente un motivo. Il Museo delle antichità egizie di Torino, che ha sede nell’edificio guariniano del XVII secolo, è stato riaperto nella sua nuova veste nel 2015 e da allora non cessa di sorprendere non solo per le ricchezze in esso custodite, ma per gli eventi divulgativi e di animazione e per la progettazione delle sale che guida il visitatore in uno storytelling culturale e emozionale dal quale è difficile non farsi sedurre.
Negli anni Venti del 1800, il grande Palazzo dell’Accademia delle Scienze ospita il nucleo originario della collezione egittologica di Bernardino Drovetti, mentre sul finire del secolo romantico, con l’apporto di Ernesto Schiaparelli, si arricchisce diventando intorno al 1930 uno scrigno di tesori dell’ Antico Egitto unico al mondo.
Isolarchitetti nel 2008 ne ha coordinato il progetto di rinascita, firmato da Dante Ferretti, che ha dato anche vita a un’opera immensa raffigurante la terra egiziana e il Nilo che, correndo lungo la parete della scala, permette di accedere ai piani superiori da quali si dipanano gli ambienti (i dati: 1080 giorni di lavoro per 10.000 metri quadrati su quattro piani per un totale di 3.300 reperti esposti). Oggi il Direttore Christian Greco (Master in egittologia a Leida nel 2007, Dottorato di ricerca all’Università di Pavia, docente di lingue classiche ma anche responsabile di progetti espositivi fra Olanda, Giappone, Finlandia, Scozia e Spagna), lo amministra con la competenza dell’esperto e la freschezza dei giovani.
Dalle origini ai giorni nostri, il museo ha compiuto passi da gigante vincendo la sfida anche nel 2017 con 850.465 visitatori e 177.942 follower su Facebook e 25.100 su Twitter.
La mostra diffusa Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo nasce dalla comune riflessione di quattro istituzioni – Museo Egizio, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Musei Reali, Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino – e propone un dialogo tra opere d’arte e manufatti di epoche e contesti geografici diversi attorno al tema trasversale della distruzione e della perdita e quindi, in parallelo, della conservazione e della protezione del patrimonio.
Da un punto di vista squisitamente museale, quello che sorprende non è tanto l’accurata disposizione di reperti che vanno dal periodo predinastico fino alle dinastie più “recenti”, ma l’ambiente empatico creato dalla sala di Kha e Merit o dalla vibrante Sala dei Re: la tomba del capo architetto dei lavori della necropoli al servizio del faraone Amenhotep III e di sua moglie permette di osservare oggetti di uso comune, vestiti e tessuti. Lo sguardo di Merit carica di energia gli spazi e la sua parrucca, composta di intatti boccoli e treccine, è il punto più alto del contatto con la storia. Fra le pareti del Museo Egizio di Torino il ruolo da protagonista non è affidato solo ai reperti, ma anche alle storie e alle emozioni che questi ultimi sono in grado di comunicare.
Fra i tesori il tempio rupestre di Ellesija , completamente ricostruito, il Canone reale, la Cappella di Maia, risalente al Nuovo Regno, e il Libro dei morti, una raccolta di formule magico-religiose che indicavano al defunto i riti e le preghiere ai quali attenersi per superare la prova della “pesa del cuore”. Una parte importante è dedicata all’ arte della mummificazione che mostra anche piccole mummie di gatti, cani e altri animali (la nuova sala è al primo piano, progettata da Federica Facchetti, con il supporto di Sara Aicardi, degli architetti Andrea Megna ed Enrico Barbero e della grafica Piera Luisolo).
La vera magia del museo sta senza dubbio nel linguaggio divulgativo adottato. Semplicità e completezza, non disgiunte dell’accuratezza, restituiscono all’appassionato o al semplice curioso l’emozione della scoperta dei padri fondatori della prima collezione, una commistione di rispetto e passione che, unita a un profondo senso civico, è capace di rendere la visita un’esperienza di crescita umana.
By Matteo Tuveri