[fbshare type=”button”] Parlare della musica del mio paese è sempre il modo migliore per aprirne le porte. Cosa c’è di meglio, infatti, di un cantante, dei suoi testi e delle sue performance per spiegare la Francia (o almeno una parte di essa?).
Il 27 marzo scorso sono stata al concerto di uno dei miei cantautori preferiti, Bénabar. Sotto questo pseudonimo, anagramma del cognome Barnabé, si nasconde Bruno Nicolini, nato nel 1969 da padre italiano e da madre francese. Dopo una carriera al cinema e alla TV, alla fine degli anni ’90 ha dedicato la sua carriera alla musica fondando la sua band Bénabar & Associés. E diventato famoso nel 2001, quando radio France Inter, seguita principalmente dalla classe media che si interessa di cultura, musica e politica, ha ripetutamente messo in programmazione le canzoni Bon Anniversaire e Y’a une fille qu’habite chez moi.
Dopo i primi successi alla radio, Bénabar ha proseguito i concerti e pubblicato gli album Les Risques du métier (2003), Reprises des négociations (2005), Infréquentable (2008), Les Bénéfices du doute (2011) e Inspiré de faits réels (2014). Ho aspettato con impazienza l’uscita del suo nuovo CD, tenendomi informata grazie agli articoli di Patrick Pelloux, giornalista di Charlie Hebdo, amico di Bénabar, che parla spesso di lui. Non mi sono fermata qui, nel 2003 e nel 2005, rispettivamente a Châlons-sur-Saône e a Dijon, ho avuto modo di seguire il cantautore durante i suoi spettacoli.
Quel 27 marzo, al Palais des Sports, a sud di Parigi, ero emozionata. Erano passati ben dieci anni!
Bénabar apre lo spettacolo salutando la folla e, proprio come tanti anni fa, con il suo salto sulla scena, si esibisce nella sua famosa “danza dell’orso”, come l’aveva ribattezzata anni fa un giornalista. Il pubblico scalda le mani seguendo il ritmo. Canzoni serie, più leggere, dal nuovo album e dai vecchi lavori, la sua carriera è davanti a noi ed è trascinante: Les râteaux, À la campagne, La berceuse, Les épices du Souk du Caire, La forêt, Les deux chiens, Je suis de celles, Paris By Night, Dis-lui oui, Titouan, Le dîner e il famosissimo Y a une fille qui habite chez moi.
Il suo stile è inconfondibile, introduce ogni brano con alcune parole, dialogando con il pubblico e spiegando i versi o ironizzando su di essi. Per esempio, durante l’esecuzione della sua nuova canzone Coming in, che parla di uno omosessuale che si riscopre eterosessuale, il cantore si diverte a giocare coi generi sessuali e a dialogare con il suo personaggio dicendo che «le donne, alle fine, non sono tante perfette, sono sporche, sono terribili» Ovviamente il pubblico femminile fischia, mentre lui fa spallucce e ride della reazione.
I presenti alla fine non si trattengono e, complice il ritmo delle canzoni successive, iniziano a ballare. Anche chi è nei palchi, su in alto, scende nella sala per muoversi a ritmo. Si passa dal sorriso all’emozione quando, alla chiusura del concerto, il cantautore, sul brano Bonne année invita a brindare a un anno difficile e pieno di problemi, di cui adesso assaggiamo gli effetti, e ricorda Charb e Cabu di Charlie Hebdo.
Quella sera ho preso il tram canticchiando come dopo un abbraccio, quando ti rimane il calore della condivisione. E mi succede ogni volta che ascolto Bénabar. Oggi lo trovate sul suo sito www.benabar.com, nei numerosi concerti (cliccate sulla sezione Concerts) e nel suo ultimo album Inspiré de faits réels. Lì ci sono tutti i suoi colori (toutes les couleurs).
By Tiphaine Martin