Erano occhi mobili, amplificati dalle lenti degli occhiali, che ti guardavano come una grossa e saggia rana guarda lo stagno (che conosce come le sue tasche). Era un naso pronunciato che sovrastava una voce corposa, rotonda e acuta insieme: siciliana.
Andrea Camilleri era come il gusto vero e forte dei purpi a strascinasali, era la voce dei greci, dei telamoni erosi dal vento e dal sole, degli ulivi saraceni, di Akragas, dei turchi, di Pirandello, di Empedocle, degli antifascisti; era tutto questo che se ne andava a spasso per le pagine dei suoi libri e per il mondo.
Se ne andava in giro, quella voce, senza mai requie nel raccontare storie, nell’offrirci un metodo di lettura, una visione schietta, senza mezzi termini. Con una speciale vibrazione, che è quella della verità, raccontava la vita, la morte: degli uomini e della civiltà che combatte “una guerra che non usa più armi, che non bombarda né fa esplodere atomiche, che non provoca morte ma produce fame, disoccupazione, scontro sociale, impoverimento, insomma riduce sul lastrico i perdenti”. (Segnali di fumo, UTET, 2014)
Raccontava con curiosità, al modo dei pupari, una scena umana investita da un riso aspro, con alternanza di prosa e poesia, con la forza delle filastrocche e un accompagnamento musicale invisibile. “Genti ca sa fa ‘lliccannu a sadda, ma ci fa truvari a tavula cunsata a cu cumanna”, dice Carmen Consoli (‘A finestra, 2009): un paese che affronta il suo dramma più grande senza consapevolezza.
Era la finestra aperta su quella piazza varia e ultimamente troppo caotica e incattivita. Sottolineava con lingua tagliente e piccante pessimismo civile i comportamenti artefatti di un’Italia gentrificata e imbiancata. Aver visto da vicino un grande intellettuale, uno scrittore immenso, un isolano di quelli della stirpe dei giganti, è una delle gioie di questa vita: ché delle altre mi devono ancora dire dove siano.
“Quando nasci – ha detto recentemente in televisione – ti danno un biglietto indecifrabile, dentro il quale c’è scritto tutto il tuo avvenire. Le malattie, il successo, l’insuccesso, gli incontri importanti, c’è scritto tutto lì. Anche il giorno e l’ora della tua morte”. (Su “Carta Bianca”, Rai3).
E ce lo immaginiamo mentre si fruga le tasche alla ricerca del biglietto, mentre sale su quell’ultimo treno, mentre scrive dell’orizzonte veloce ai lati dei binari e annusa l’aria scoprendo odori e nuove parole: di piante di ficodindia, mare e mozziconi di sigaretta. Con quella coppola e l’amore della sua famiglia.
By Matteo Tuveri